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“Teniamo in vita la montagna, e al Governo chiediamo serietà”. Intervista a Valeria Ghezzi (ANEF)

Siamo persone serie, e se di dicono di non aprire gli impianti obbediremo. Però vietare lo sci di pista significa uccidere la montagna, e creare un buco economico che nessun ristoro può colmare”. Valeria Ghezzi, imprenditrice milanese trapiantata a San Martino di Castrozza, è presidente dell’ANEF, una delle associazioni dei gestori di impianti a fune. Come migliaia di italiani, attende di sapere se il prossimo DPCM renderà possibile aprire gli impianti e le piste. Le dichiarazioni dei giorni scorsi del premier Giuseppe Conte e di vari ministri fanno pensare di no, ma la trattativa è ancora in corso. 

Abbiamo parlato di temi diversi. I metodi e la tecnologia per ridurre l’affollamento su piste e impianti, i posti di lavoro a rischio, la possibilità di puntare sulle attività diverse dallo sci di pista. Non è compito di chi intervista dare un giudizio sulle risposte che riceve, ma su una di queste sono totalmente d’accordo. “Al Governo chiediamo serietà”.   

Apriranno piste e impianti di risalita oppure no? A che punto è la vostra trattativa con il Comitato Tecnico-Scientifico e il Governo?

“La trattativa non è nostra, ma delle Regioni e delle Province autonome. Che hanno approvato un documento unitario”.  

Il problema sanitario è reale, il rischio di diffondere il Covid-19 c’è davvero, tra febbraio e marzo è successo.

“Certo, e non chiediamo di aprire a ogni costo. Se lo sci dev’essere vietato lo si dica chiaramente. Invece il Governo, mentre la trattativa è in corso, annuncia in piena notte a Repubblica e all’ANSA che di sciare non si parla nemmeno. Non va bene, ci vuole rispetto!” 

Cosa c’è dietro, secondo lei? 

“L’idea che lo sci sia uno sfizio per pochi ricchi, a cui si può rinunciare facilmente. Invece le nostre società hanno 15.000 dipendenti, e due terzi di loro sono stagionali. Dei miei 80, al massimo 15 possono avere la cassa integrazione. Poi ci sono gli alberghi, i maestri di sci, i noleggi…”

Chi sono i vostri dipendenti?

“Dei tecnici qualificati, con patenti per gestire mezzi e impianti complessi. Sui miei 80, ben 77 vivono nella mia valle. Se chiedo l’apertura delle piste faccio i miei interessi, certo, ma anche quelli del tessuto sociale in cui vivo”.

Non ci sono alternative?

“No. Pochi giorni fa, un lavoratore mi ha detto “non vengo, sono stato assunto come vigile urbano”. Sono contenta per lui, ma è un caso isolato”.   

Siete riusciti a spiegare al Governo l’economia della montagna e dello sci?

“No. Abbiamo chiesto più volte un incontro a Giuseppe Conte e ai ministri Dario Franceschini e Paola De Micheli. Non ci ha mai risposto nessuno”.  

Cosa ne pensa? 

“Che ci vuole rispetto, l’ho detto prima. Nel resto d’Europa il problema sanitario è altrettanto serio, ma nessuno ignora totalmente lo sci. Quando devo rispondere agli stagionali “non so cosa dirti”, per me è terribile”.  

Il Governo italiano ignora la montagna? 

“Rispondo che è il nostro Governo, e alla fine si ubbidisce. Però l’Italia è fatta per un terzo di montagne, e chi ci è nato o ha scelto di viverci guadagna solo d’inverno e in estate. Siamo persone serie, chiediamo regole serie e rispetto”.  

Entriamo nel concreto. Se ho capito bene, la proposta di un massimo di 150 sciatori per comprensorio è stata ritirata…

“Sì, per fortuna”.

Ma si può ipotizzare un tetto, un numero chiuso per ogni comprensorio? Se sì, su quale percentuale della portata massima si potrebbe aggirare?

“Per ragionare seriamente dovremmo poter sapere quanti sciatori ci sono davvero sulle piste, sapere chi entra e chi esce. Gli skipass di oggi non lo permettono, serve un salto di tecnologia. Ci si può pensare, ma non in pochi giorni”. 

Serve la riduzione dei posti nelle cabinovie?

“Sì, ma genera code alla base. Abbiamo proposto di vietare il cellulare in cabina, per ridurre il rischio. Ma il CTS non lo ha preso in considerazione”. 

Si può ridurre la ressa nelle le code alle seggiovie? 

“Sì, con delle corsie che iniziano molto prima. Il rischio sta nell’essere troppo vicini a chi ti sta accanto, non a chi sta davanti o dietro”. 

Si possono controllare i furbi che sgomitano o si infilano? Siamo in Italia…

“E’ vero, e i nostri dipendenti non sono poliziotti. Possono solo dare raccomandazioni”.

Stiamo parlando di limitare l’offerta delle stazioni sciistiche. Che dice della domanda? Con la crisi economica, la paura del contagio, i confini meno aperti di prima, anche se si aprirà i numeri caleranno. O no?

“Penso di sì. E faccio un ragionamento da madre. Se finalmente a gennaio riapriranno le scuole, quanti genitori faranno perdere ai figli un’altra settimana per sciare?” 

Per abolire le code alle casse si può rendere obbligatorio l’acquisto dello skipass online? 

“Favorirlo sì, renderlo obbligatorio non credo. Possiamo recapitarlo in albergo a chi soggiorna, come propone Dolomiti Superski”. 

Parliamo della neve artificiale. Inizierete a spararla? Quanto costa?

“Faccio notare che il “niente sci” del Governo è arrivato il giorno in cui è arrivato il freddo, e si iniziava a fare neve artificiale. Innevare tutte le piste italiane costa 100 milioni a stagione, magari 70 se ci si limita. Qui a San Martino, per l’intero comprensorio, parliamo di 600/700 mila euro”. 

Inizierete a farla?

“Per forza, altrimenti significa alzare bandiera bianca in anticipo”. 

Non dovrei chiederlo a lei, ma cosa pensa dell’economia dell’altra neve? Si può tenere aperta la montagna senza piste da sci, puntando su ciaspole, scialpinismo, fondo e passeggiate? 

“Sono attività importanti, con la mia società ne proponiamo molte. Qui a San Martino, come a Madonna di Campiglio e a Courmayeur, a Natale metà della gente non scia. Ma i non sciatori accompagnano degli sciatori, e senza le piste ci sarebbe il crollo”. 

Ciaspolatori, fondisti e scialpinisti non riempiono gli alberghi?

“No, non fanno le settimane. Magari vengono in giornata, o fanno due o tre giorni. E’ un dato di fatto”.

L’ultima domanda è sulle code vere o presunte di Cervinia, che hanno provocato una reazione durissima.

“Le code ci sono state, per un periodo molto breve, anche perché erano stati messi in vendita gli stagionali, e quella è un’operazione lunga. Ma le foto con il teleobiettivo le hanno fatte sembrare più dense del reale”.

Succede anche la domenica a Roma, a Milano o a Napoli. In un’immagine con il teleobiettivo sembrano tutti ammucchiati, e magari non lo sono. 

“In estate, quando sui giornali uscivano le foto delle code alla base delle funivie della Rosetta e del Pordoi, consigliavo agli impiantisti di fotografare le stesse code di lato, per far vedere la situazione reale. Ma le posso dire una cosa?”

Prego.

“Che fatica vivere in questo modo…”

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