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Alpinisti al servizio della scienza per studiare i movimenti della Khumbu Icefall

Che la Khumbu Icefall possa rivelarsi un estremo pericolo per gli alpinisti in ascesa sull’Everest è risultato oltremodo evidente nell’autunno 2019 quando, di fronte all’enorme seracco in bilico sulla seraccata, tutti gli alpinisti presenti al campo base sul versante nepalese, compreso Andrzej Bargiel, hanno deciso di fare dietrofront. Con l’eccezione di Kilian Jornet che ha voluto sfidare in velocità la sorte.

La situazione appare sempre più critica. Accanto al rischio di collasso di seracchi, la Icefall appare sempre più crepacciata, stagione dopo stagione. Risulta inoltre in aumento il rischio di valanghe dalla spalla Ovest dell’Everest. La fratturazione della superficie della seraccata dipende dalla velocità di spostamento del ghiacciaio del Khumbu, che a sua volta è legata alla pendenza del terreno su cui il ghiaccio scivola. Mediante l’uso delle immagini satellitari, gli scienziati son riusciti a stimare tale velocità di movimento, identificando un valore massimo di circa 1 metro al giorno. Una nuova tecnica che vede chiamati in gioco gli alpinisti ha però portato a evidenziare che tale valore risulti sottostimato nella stagione primaverile. 

Lo studio condotto dai ricercatori Bas Altena e Andreas Kääb dell’Università di Oslo, di recente pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Glaciology, afferma che la realizzazione di mappe di velocità possa aiutare gli alpinisti a pianificare un passaggio sicuro lungo la Icefall.

L’importante contributo degli alpinisti

Per comprendere le conclusioni dei ricercatori bisogna per certo fare un passo indietro, e capire cosa sia una mappa di velocità. Strumento cui fanno riferimento come salva-vita per gli alpinisti in ascesa. Come si evince dal termine stesso, si tratta di uno studio del flusso del ghiacciaio, punto per punto all’interno di un’area di saggio. Per stimare la velocità di movimento del Khumbu sono state utilizzate sequenze di immagini ad alta risoluzione catturate dai satelliti Sentinel-2. Il confronto tra tali scatti ha portato alla stima media di un metro al giorno.

Per avere conferma di tale dato stimato, gli scienziati si sono avvalsi della collaborazione di alcuni alpinisti norvegesi saliti sull’Everest nella affollata primavera 2019. “Gli alpinisti normalmente registrano la propria traiettoria sui propri strumenti di navigazione satellitare – si legge nel paper – . Abbiamo allora chiesto a dei volontari di fornirci le loro informazioni geografiche per verificare le stime di velocità”.

La traiettoria seguita dagli alpinisti varia infatti in funzione del mutamento del “paesaggio” dell’Icefall. Dunque i dati GPS forniti da gruppi di alpinisti che abbiano affrontato in tempi distinti, seppur ravvicinati, la seraccata, consentono di estrapolare, dalla differenza tra le traiettorie medie seguite, dei valori di velocità di spostamento del ghiacciaio.

Ciò che è stato notato è che la velocità rilevata mediante dati GPS in primavera risulti superiore rispetto al dato di velocità stimato nel medesimo punto della mappa tramite remote sensing, ovvero tramite satellite. Dove da satellite si estrapola una velocità di un metro al giorno, gli strumenti GPS portano a una stima di 1.5, quasi 2 metri al giorno. Una valutazione che deve tenere conto di due fattori:

  1. i dati da satellite possono presentare dei “rumori” che inficiano i calcoli;
  2. i segnali GPS forniscono informazioni su una scala temporale più ristretta e precisa.

Un limite dello studio, evidenziato dai ricercatori in una intervista rilasciata a Stefan Nestler, è dunque rappresentato dalla carenza di dati GPS utilizzati per questo primo studio sperimentale. I primi a non fornire risposta alla richiesta di “aiuto” degli scienziati sono stati gli Ice Fall Doctors. I dati GPS risultano un tool promettente. Sarà per certo necessario effettuare nuovi studi con un quantitativo maggiore di dati per validare il modello testato.

Una mappa che limita il rischio

Altena, che oltre ad essere ricercatore è anche appassionato di alpinismo, ha evidenziato nella medesima intervista quanto la conoscenza della velocità di movimento di un ghiacciaio possa aiutare gli alpinisti a limitare i propri rischi. Sapere se un ghiacciaio appartenga a una categoria lenta o veloce è già un ottimo elemento, in quanto a velocità maggiori si legano crepacciature maggiori.

Le mappe di velocità, anche su ghiacciai considerati veloci come il Khumbu, mantengono la loro validità nel tempo. Questo perché i cambiamenti nella velocità media dipendono fondamentalmente dalla pendenza della superficie su cui si sposta un ghiacciaio. E tale pendenza non cambia di anno in anno. Su scala decennale sicuramente modifiche avvengono anche in tal senso, ma nel frattempo anche le mappe si aggiornano.

Quanto è difficile leggere una mappa di velocità?

Bisogna essere uno scienziato per studiare un itinerario di salita sulla base di una mappa di velocità? Il dottor Altena non ha dubbi. La risposta è no. “Se sono in grado di leggere una mappa e hanno qualche nozione di meteorologia, che dovrebbe essere un prerequisito per un alpinista, questi dati possono essere tranquillamente interpretati”. Anzi, aggiunge, “sarebbe bello che entrassero a far parte di un kit a supporto dei climber”. 

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Un commento

  1. “Se alla base si trova dell’acqua di fusione, il ghiacciaio si muove più velocemente: i ghiacciai temperati sono
    quindi quelli che “camminano” di più, mentre quelli a base fredda possono rimanere “ancorati” al substrato gelato e
    muoversi molto poco, o “a scatti”, un po’ come avviene lungo una faglia.” COME SI FA A SAPERE COME E’LA BASE?? Tratto da un saggio ;
    https://www.eniscuola.net/wp-content/uploads/2013/11/migrazione/assets/3288/pdf_ghiacciai.pdf
    che contempla di tuttoe di Più , anche se impegna nella lettura.

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