Curiosità

Whiteout e lockdown

A inizio marzo, quando l’Italia è stata chiusa per la prima volta, le montagne fuori dalla finestra erano ancora innevate. Le ho osservate giorno dopo giorno, e poi ancora. Con l’andare delle settimane aumentavano le ore di luce e diminuiva sensibilmente lo spessore della neve. Ad aprile il colore era grigio/nero, poco dopo verde acceso. Una nuova stagione si affacciava alla finestra, ed era difficile ignorarla. Anche il Vandalino, piccola cima che sovrasta la mia casa, si faceva verde e positivo. Una nuova vita stava nascendo mentre giornali e tv ci ricordavano che altre centinaia andavano spegnendosi, ogni giorno.

Vista dall’esterno, la scena conserva un contrasto potente: da un lato il silenzio rigoglioso della vita che va riprendendosi forme e spazi, dall’altra parte l’impetuoso e assordante suono della morte. Una mescolanza di sensazioni che disorienta e che lascia spiazzati. Un po’ tutti abbiamo sperato che fosse davvero finita il 4 maggio, con le prime riaperture. Se non finita, che fosse almeno possibile convivere in un clima di mal sopportazione con il virus, senza dover ritornare a questa straniante sensazione di assenza. In termini alpinistici la si definirebbe whiteout (e ringrazio gli Alpinisti in Erba per l’ispirazione). Nulla è più alienante del bianco totale in montagna, chi l’ha provato lo sa bene. Ti prende quasi un nodo allo stomaco quando il terreno si confonde con il cielo togliendoti ogni possibilità di orientamento. Il whiteout non ha colpe, ma uccide se il panico prende il sopravvento. Magari sei a poche centinaia di metri dalla salvezza del rifugio, ma non riesci a trovarlo. Impazzisci, perdi il senno e ti lasci trasportare dal delirio dell’inconscio.

Per gestire queste sensazioni serve esperienza e sangue freddo. Bisogna trovare una via di fuga a quella finestra oltre cui le montagne stanno tornando a farsi cariche di neve mentre la tv torna a mormorare parole nere. “In questi momenti di incertezza mi piace tenermi stretti i momenti più belli” scrive François Cazzanelli. “Non bisogna farsi prendere dal terrore dei limiti, ma cercare il proprio spazio di libertà tra questi, vivendo alla giornata” è invece il commento di Matteo Della Bordella. L’arte di tutto sarebbe la resilienza, questa capacità di assorbire senza rompersi. Impossibile, o quantomeno difficile, metterla veramente in pratica. Prima o poi si esplode, ed è normale. È normale perdere il controllo e avere momenti di sfogo, l’importante e non disperarsi agendo senza controllo. Dopo aver lasciato andare l’adrenalina bisogna ritornare in sé e, come in alta montagna, ricordarsi alcune semplici regole utili a farci tornare a valle, sani e salvi. Dopo? Dopo si torna a salire, ma con calma e dopo essersi presi una pausa. Un po’ come sta accadendo a noi, nelle zone rosse. Che sia giusto o sbagliato guardiamo le montagne imbiancarsi e trasformarsi, pronte ad accoglierci nuovamente come fosse un ritorno alla vita. Non disperiamo, le vette non scappano, piuttosto vagheggiamo tra le loro forme, a volte dure a volte morbide, immaginando il nuovo piacere di percorrerle.

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4 Commenti

  1. Mi è piaciuto, grazie !

    Per fortuna c’è buona probabilità che fin oltre la metà di gennaio non nevichi e faccia caldo 🙂

    I grandi alpinisti non perdono mai la testa: per questo motivo sono percepiti come dei folli! 🙂

  2. Ciao. articolo piacevole alla lettura,ma anche alla mente.La DAMA ,si è fatta vedere a ottobre,che sia di buon auspicio? x tutti mai mollare

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