AlpinismoAlta quota

Kami Rita, lo sherpa che è stato 24 volte sull’Everest

E spiega come fare con un libro

Nel 2020, a causa del Covid-19, la corsa ai record sull’Everest si è fermata. Non possono migliorare il loro bottino la guida statunitense Dave Hahn, che è salito a 8848 metri di quota per 15 volte, e il suo collega britannico Kenton Cool, che ha compiuto 14 volte l’ascensione. Lo stesso vale per sherpa da record come Ngima Nuru (22 ascensioni), Apa e Phurba Tashi (21 ciascuno), Ang Dorje (20) e Mingma Tsiri (19). Sul gradino più alto, però, c’è sempre Kami Rita Sherpa, Topke per gli amici, che a gennaio ha compiuto 50 anni.

Nel 2019, l’anno delle interminabili file verso la vetta dell’Everest raccontate da una celebre foto di Nirmal Purja, Kami è arrivato a 8848 metri per due volte. Il 15 maggio ha accompagnato quindici clienti cinesi, sei giorni dopo si è ripetuto con undici alpinisti indiani.

Kami Rita, come il grande Tenzing Norgay, autore nel 1953 con Edmund Hillary della prima ascensione dell’Everest, è nato a Thame. Un villaggio che sorge tra Namche Bazaar e il Nangpa La, sulla carovaniera che conduce ai piedi del Cho Oyu e verso il cuore del Tibet. La sua storia è simile a quella di altri sherpa che hanno raggiunto il successo, e merita di essere raccontata.

La storia di Kami Rita

Da bambino, solo per raggiungere la scuola, Kami Rita deve camminare per quattro ore. Vorrebbe diventare monaco, studia in un monastero buddhista, ma è costretto a rinunciare al suo sogno, per lavorare e aiutare la famiglia ad andare avanti. A dieci anni abbandona le lezioni e le preghiere, e inizia a lavorare come portatore per i trekking. Poi, con l’aiuto del fratello maggiore Lhakpa, entra nel giro delle spedizioni.

Nel 1994, per la prima volta, Kami accompagna dei clienti sulla cima dell’Everest. Si ripete nel 1997 e nel 1998, e poi praticamente ogni anno. Utilizza sempre la via normale dal Nepal, che sale dal ghiacciaio del Khumbu attraverso l’Icefall, il Western Cwm, la parete del Lhotse e il Colle Sud. Nel 2016, la sua diciassettesima salita alla cima gli permette di conoscere l’itinerario dal Tibet, che sale dal ghiacciaio di Rongbuk attraverso il Colle Nord e la cresta tentata nel 1924 da Mallory e Irvine.

L’Everest di Kami Rita, però, non è scandito solamente dalle ascensioni riuscite. Nel 2014, quando è già diventato una delle guide più esperte dell’Himalaya, Kami assiste dal campo-base alla valanga che uccide 16 sherpa sull’Icefall. Nelle settimane successive, a Kathmandu, c’è anche lui a protestare contro il governo del Nepal che vuol risarcire le famiglie delle vittime con sole 40.000 rupie (circa 400 dollari) di indennizzo. Poi, per placare gli sherpa, il risarcimento viene alzato a 500.000 rupie (5.000 dollari), e otto corpi vengono solennemente cremati a Kathmandu.

Un anno dopo arriva un colpo ancora più duro. Nel pomeriggio del 25 aprile 2015, un violentissimo terremoto devasta Kathmandu e la zona centrale del Paese, uccidendo 9.000 persone e lasciandone circa un milione senza casa. Sul campo-base dell’Everest, a 220 chilometri dall’epicentro, precipita una valanga che si è staccata dai pendii del Pumori, che uccide 21 tra alpinisti stranieri e sherpa e che ne ferisce seriamente altri 61. Qualche giorno più tardi, un’altra valanga uccide tre sherpa mentre tentano di riaprire l’itinerario dall’alto.

L’Everest non è mai facile

Le ascensioni vittoriose alla cima sono riprese, ma Kami Rita non ha mai pensato che l’Everest sia una montagna semplice. “Tratto ogni salita con la stessa attenzione della prima. Il mio lavoro consiste nel portare i clienti in cima, stabilire un record è secondario spiega in un’intervista alla BBC.

“L’affollamento c’è sempre stato, e può certamente uccidere” prosegue nell’estate del 2019, quando la foto delle code sullo Hillary Step stava ancora facendo il giro del mondo. “Il vero pericolo, secondo me è la pubblicità delle agenzie che, per attirare i clienti, dicono che l’Everest è facile”.

“Non è vero, l’Everest non è mai facile. In basso si rischia per le valanghe, in alto la via è ripida e pericolosa” prosegue lo sherpa che ha compiuto la salita 24 volte. “E’ pericoloso anche il modo in cui la montagna si trasforma. La seraccata sta diventando sempre più insidiosa, tra il Colle Sud e la cima affiora sempre più roccia, e la via diventa più difficile”.

“Tutti devono capire che anche lo sherpa più forte non può portar giù di peso un cliente, e che gli elicotteri non arrivano fino in cima. L’Himalaya è diverso dalle Alpi! Se si è in dubbio bisogna solamente scendere, se si sopravvive l’Everest sarà ancora lì, e potremo tentare di nuovo”.

Per gli sherpa, incluso Kami Rita, il Chomolungma resta una montagna sacra, abitata da una divinità. “Mesi prima di partire in spedizione, inizio a pregarla e a chiedere il suo perdono perché dovrò calpestare il suo corpo con i piedi. Quando arrivo al campo-base partecipo alla puja, la cerimonia in cui si chiede il permesso di passare” spiega lo sherpa. “Anche se sei l’alpinista più forte del mondo, o il meglio preparato, per raggiungere la cima, e per tornare sano a valle, hai bisogno della benedizione della dea”.

“How to climb Everest”

Come tanti sherpa del Terzo millennio, anche Kami Rita è un uomo in bilico tra modernità e tradizione. Ha una pagina Facebook, la segue, risponde e chatta con chi gli chiede l’amicizia. Fornisce suggerimenti su come prepararsi per l’alta quota e per affrontare la cima più alta della Terra. Da qualche settimana, i suoi preziosi consigli sono stati raccolti in un piccolo libro, “How to Climb Everest” (Come salire l’Everest), che si potrà acquistare a Kathmandu, oppure su Amazon e altre piattaforme del genere.

Oltre al titolo, all’autore e al contenuto, attira la curiosità dei lettori il sottotitolo, Little Ways to Live a Big Life, cioè Piccoli trucchi per vivere una grande vita. Salire a 8848 metri di quota, secondo Kami e tanti altri, è certamente un modo per farlo. Ci piacerebbe che qualche editore italiano pubblicasse una traduzione.

I clienti sono tutti uguali

Quando finiscono le chiacchiere, e si inizia ad affrontare l’Everest, anche Kami Rita si concentra sul compito che ha davanti. “Parlo con molti potenziali clienti via Facebook, ma poi è l’agenzia per cui lavoro a dirmi chi tenterà di salire insieme a me” spiega con modestia.

“Non prendo nota della nazionalità dei clienti, per me sono tutti uguali. Tra i tanti che ho accompagnato fino in cima ricordo con piacere una ragazza americana di 20 anni, che è salita senza problemi perché si era preparata molto bene. Una salita memorabile, nel 2013, è stata quella insieme a Raha Moharrak, una giovane principessa saudita che ha salito le Seven Summits. Non capita spesso, per uno sherpa, di avere accanto una principessa!”

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