Storia dell'alpinismo

Dal sesto grado al totalitarismo, l’alpinismo cambia forma

Con la fine della prima guerra mondiale si assiste a un nuovo ritorno tra le montagne, i più attivi in questo periodo sono gli alpinisti austriaci e tedeschi. Ragazzi in cerca di una rivincita sia morale che ideologica dopo quelle che sono state le tragiche sorti della guerra. A Monaco nel frattempo nascono una serie di personaggi che in breve daranno vita a un movimento chiamato “scuola di Monaco”. In questa definizione rientra un nutrito gruppo di alpinisti, alcuni dei migliori scalatori del periodo, personaggi che supereranno se stessi contribuendo a un progresso notevole dell’arte arrampicatoria. Un successo dovuto al perfezionamento delle tecniche e all’introduzione dell’allenamento sistematico.

In contemporanea ai popoli di lingua tedesca anche in Italia si iniziano a sviluppare moti nazionalistici. Pensieri che dilagano tra la popolazione, influenzando di conseguenza anche le terre alte. Le cordate di nazionalità diversa non fanno più squadra ma si contrappongono alla ricerca di una sfida continua. Dimostrare chi sia il migliore, il più ardito, diventa l’unico scopo per cui affrontare la montagna. Nel giro di pochi anni, con l’avvento dei regimi totalitari, l’alpinismo come tutto lo sport cambia radicalmente forma. Quel che accade sulle pareti verticali diventa mezzo di propaganda, la riuscita di una salita è simbolo di virilità, dimostrazione di forza e superiorità razziale.

Il sesto grado

In Dolomiti gli scalatori vanno in cerca delle difficoltà più alte, sulle pareti più imponenti. Nel giro di poco si raggiunge la difficoltà massima: il sesto grado. Il primo a riuscirci è il tedesco Emil Solleder che nel 1925 riesce, insieme a Gustav Lettenbauer, nella salita della parete nord-ovest del Civetta. Un itinerario logico, salito in libera, utilizzando lungo i 1200 metri di parete solo 15 chiodi. Nasce così la prima via di sesto grado, quella che sarà utilizzata come metro di paragone per tutte le salite successive. Per alcuni anni il sesto grado rimane prerogativa unica degli alpinisti tedeschi poi, nel 1929, si assiste a un’esplosione degli scalatori italiani. Nel giro di pochi giorni Emilio Comici tocca il grado massimo sulla Sorella di Mezzo e lo stesso fanno Renzo Videsott e Domenico Rudatis lungo lo spigolo della Cima della Busazza e ancora la guida Luigi Micheluzzi sullo spigolo sud della Punta Penia (Marmolada).

L’assegnazione dei gradi di difficoltà è estremamente difficile. Ognuno segue un personale metro di paragone ed era complesso definire unanimemente il livello necessario per affrontare una via. A risolvere il problema, nel 1926, ci pensa il ghiacciatore Willo Welzenbach che costruisce una prima scala di difficoltà. Va dall’1 , il più facile, al 6, il limite delle possibilità umane.

Sdoganato il mito del sesto grado gli alpinisti si concentrano sulle pareti più imponenti e difficili delle Dolomiti alla ricerca dei tracciati più estremi. Emilio Comici, nel 1933, decide di focalizzare la sua attenzione sulla nord della Cima Grande di Lavaredo. La vince, insieme ai fratelli Dimai, tra il 12 e il 13 agosto. Un’impresa unica, forse la più grande del periodo. Due anni dopo è Riccardo Cassin il grande protagonista del sesto grado grazie alla sua incredibile salita lungo la nord della Cima Ovest di Lavaredo, il problema alpinistico più ambito in Dolomiti.

La corsa alle nord

Mentre in Dolomiti prosegue la ricerca di nuove e più ardite vie, le Alpi occidentali vivono una vera e propria competizione verticale. È lo spirito nazionalista a spingere molti degli alpinisti protagonisti verso una gara: bisogna essere i primi a vincere la nord del Cervino, delle Grandes Jorasses e dell’Eiger. La prima a cadere è la nord della Gran Becca, che viene salita dai fratelli austriaci Franz e Toni Schmid. La loro è una vera è propria avventura che comincia a molti chilometri di distanza dalla parete. I due infatti partono da Monaco di Baviera, carichi di tutto il necessario per la salita, in bicicletta. Una volta raggiunta Zermatt salgono fino alla base della parete e la attaccano in modo sicuro riuscendo a superarla in soli due giorni di scalata.

Le Grandes Jorasses sono un discorso a parte nella storia delle tre nord. Il loro versante più freddo viene tentato diverse volte prima che qualcuno riesca a salirlo. Ci provano tutti: francesi, austriaci e italiani. I primi a riuscire in una scalata su questo versante sono i tedeschi Rudolf Peters e Martin Meier che nel 1935 portano a termine la salita dello sperone Croz, uno dei “punti deboli” delle Grandes Jorasses insieme alllo sperone Walker. I due riescono quindi a trovare un passaggio, ma il tracciano non arriva fin sulla vetta principale. Per questo bisogna aspettare il 1938 quando la cordata lecchese composta da Riccardo Cassin, Ugo Tizzoni e Gino Esposito riescono nell’impresa di salire lo sperone Walker. Una realizzazione unica per il periodo, ulteriormente avvalorata dall’intuito di Cassin nel guidare la scalata su un massiccio e una parete a lui del tutto sconosciuti.

Rimane solo più la nord dell’Eiger. Una parete di 1600 metri con grandi nevai pensili che viene letteralmente messa sotto assedio dagli alpinisti austriaci e tedeschi. Siamo nel 1938, l’anno dopo sarebbe esplosa la seconda guerra mondiale e il mondo sarebbe caduto nell’oblio del conflitto. Il Trentotto è ancora anno di propaganda: ormai i regimi totalitari hanno preso il sopravvento in Germania e in Italia. Il nazismo di Hitler si espande a macchia d’olio e conquista una fascia sempre crescente di popolazione, per lui, per la sua ideologia, la parete nord dell’Eiger è un traguardo importante. Gli attacchi alla nord vengono condotti quasi con violenza e presuntuosità, l’obiettivo è riuscire dove gli altri hanno fallito, anche a costo della vita. Molti sono periti tentando invano di salire quel migliaio di difficili metri, ognuno di loro è stato celebrato come un martire, un eroe della nazione. Nel 1938 poi, finalmente, la parete si arrende lasciando passare gli alpinisti. A realizzare la prima salita sono due cordate distinte che scelgono di unirsi a formare un’unica squadra: una austriaca, composta da Fritz Kasparek e Heinrich Harrer (autore di 7 anni in Tibet), e una tedesca, formata da Andreas Heckmair e Ludwig Vörg. I mezzi di propaganda prendono colgono la palla al balzo e lanciano la notizia. I 4 vittoriosi sulla nord divengono simbolo della recente unificazione tra Germania nazista e Austria.

Giusto Gervasutti

Un grande che fin qui non abbiamo mai citato, a Giusto Gervasutti va il merito di aver definitivamente cancellato la diatriba tra orientalisti e occidentalisti dimostrando come uno non sottragga capacità all’altro. Dopo essersi formato sulle Alpi orientali si trasferisce a Torino iniziando a legarsi con compagni del calibro di Renato Chabod, Piero Zanetti e Gabriele Boccalatte. Negli anni che precedono la guerra riesce in salite uniche, risolvendo problemi su problemi. I primi nel Delfinato dove riesce sulla nord-ovest del Pic d’Olan, sulla cresta del Pic Gaspard e sulla nord-ovest dell’Ailefroide. Nel 1938 poi, insieme a Boccalatte, porta sul massiccio del Monte Bianco il concetto di scalata dolomitica riuscendo nella salita della sud-ovest del Pic Gugliermina. E ancora nel 1940, con Giuseppe Gagliardone, porta a compimento la prima salita della est delle Grandes Jorasses. Sono le ultime realizzazioni prima che la guerra richiami tutti a uno stop forzato, se non al peggiore richiamo alle armi. Non si corre più per conquistare un metro verticale, ma orizzontale. Le montagne si svuotano di alpinisti, molti partono per il fronte obbligati a una guerra d’ideologia, in cui forse manco credono. Le montagne si quietano, non ci sono più gli alpinisti che salgono rapidi nei boschi per arrivare all’attacco delle vie. C’è invece un brulicare di uomini, un popolo di resistenti a cui molti scalatori scelgono di unirsi. Sono persone disposte a tutto pur di non cedere al volere della dittatura. Dopo, le montagne e l’alpinismo non saranno più gli stessi.

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2 Commenti

  1. Poi la “battaglia” è stata fatta evolvere in avanti da Messner e pochi altri per far capire che c’era anche qualcosa di più difficile: era l’apertura della scala delle difficoltà e l’introduzione del 7° grado.
    Poi qualcuno è andato oltre ed è stato capace di scalare in parete aperta a vista roba nuova, proteggendosi senza appendersi ai cliff, cioè senza scalare in A0, e ha raggiunto l’8° grado.
    Da anni con l’avvento della chiodatura di gran lunga più sicura a spit, si può volare su un passaggio anche più volte senza che la protezione esca, si può salire e scendere quando si vuole, non si mette più a rischio la cordata, si possono prendere grandi paure con voli enormi senza rischiare di morire se non raramente e si è molto più sicuri del risultato.
    Viene chiamata scalata sportiva e i gradi sono cambiati, per ognuno sono state aggiunte le lettere a, b , c, poi si passa al successivo, da poco c’è il 9c.
    Con “cantieri” anche di anni sono state aperte vie date di quelle difficoltà, se non ci si attacca agli spit, e dopo altri anni sono state ripetute senza mai appendersi.
    Qualcuno ha salito da solo slegato e senza materiale appeso all’imbragatura, ma dopo lunghi studi e ripetizioni, difficoltà in parete fino all’8a-8b.
    Ma il vecchio 8° è circa il nuovo 7b e pochissimi ancora oggi sanno salirlo i parete aperta, anche se sono legati, se è nuovo, a vista e proteggendosi senza appendersi ai cliff.

    Si è arrivati al 12° grado con il fisico e la tecnica, ma la mente, se non conosce bene tutto, ha le solite vecchie paure, è rimasta “indietro” ? 🙂

  2. Nord dell’Eiger: Racconto’ Harrrer che le SS sezion esportiva fornirono a loro spese i materiali e..una boccett di liquido sperimentale uscitodailaboratori da usare con pipetta contagocce.Massimo raccomendato 2 goccette sulla lingua in caso di fiaccamentoorganico..In realta’ la svuotarono in 4 e partirono ringaluzziti.
    Il principio attivo -anfetamine-venne poiimmesso nelle pasticche di Pervitin distribuite a popolazion ecivile esoprattutto a truppe.Inizialment epartironoa razzoconlablitz krieg..poi arrivarono la carenza delle pasticche assuefazione, crisi di astinenza, perdita di contatto con la realta’ come effetti secondari.
    Agli italiani..salame e fiasconi di vino bastarono…forse la coramina.. o venne dopo???

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