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Cesare Maestri

Dalle grandi aperture nelle sue Dolomiti alle polemiche sul Cerro Torre: una vita sempre da primo di cordata

Non esistono montagne impossibili. Esistono solo uomini che non sono capaci di salirle.”

Cesare Maestri

Soprannominato “il Ragno delle Dolomiti” Cesare Maestri è stato un innovatore in campo alpinistico. Uno dei primi ad affrontare difficili itinerari di sesto grado, il più alto del periodo, in solitaria sia in salita che in discesa. Scalatore, scrittore e partigiano ha preso parte alla guerra di resistenza combattendo attivamente sulle montagne trentine.

Escluso dalla spedizione italiana al K2 del 1954 per un’ulcera allo stomaco poi rivelatasi inesistente, la sua intensa carriera alpinistica ha contribuito a dare uno slancio alla pratica trovando soluzioni a problemi e nuove modalità di contatto con la montagna. Convinto sostenitore di un approccio moderno alle difficoltà oltre ad allenarsi ha contribuito allo sviluppo di nuovi materiali per l’arrampicata.

La vita

Nato a Trento il 2 ottobre 1929 da oltre quaranta anni vive a Madonna di Campiglio dove per anni ha gestito il negozio “La bottega di Cesare Maestri”.

Rimasto orfano di mamma a soli 7 anni cresce, insieme ai suoi due fratelli, sotto l’educazione del papà, Toni Maestri: un attore girovago, come lo era anche la mamma Mariarosa, stabilitosi grazie a un impiego nella pubblica amministrazione. La loro è una vita tranquilla che viene scombussolata, come quella di un po’ tutti, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Il padre Toni viene condannato a morte per attività antiaustriaca così scappano, prima a Ferrara, poi a Trento. Qui Cesare, appena quattordicenne, sceglie di salire tra le montagne amiche unendosi alle truppe partigiane.

Terminata la guerra il padre lo manda a Roma per fargli studiare recitazione, come hanno fatto anche i suoi fratelli. Anna, la sorella, diventerà un’affermata attrice mentre Giancarlo, il fratello, diventerà direttore del doppiaggio dando voce, tra gli altri, a Sean Connery. Cesare regge due anni a Roma, periodo in cui partecipa attivamente alle iniziative del Partito Comunista Italiano, quindi torna a Trento dove scopre il mondo dell’arrampicata. La montagna diventa il suo antistress, un modo per distrarre la mente dai ricordi accumulati negli anni di guerra.

Muore il 19 gennaio 2021, all’età di 91 anni.

L’alpinismo

In breve tempo la passione per la scalata di Cesare Maestri diventa totalizzante. I progressi sono immediati e la prima grande impresa non si fa attendere per molto tempo. Nel 1951, a 22 anni, si trova ai piedi del Croz dell’Altissimo dove sale in solitaria la via Detassis-Giordani. Per la carriera alpinistica del giovane trentino è un punto di non ritorno, da questo momento in poi inizia infatti una lunga sequenza di imprese solitarie che lo vedono impegnato sulle più alte difficoltà delle Dolomiti. Nel 1952 ritorna sul Croz dell’Altissimo dove ripete la via Dibona, quindi si sposta sulla Comici al Sassolungo e ancora sulla Civetta dove sale lungo la via Solleder. Sempre nello stesso anno consegue il brevetto di guida alpina.

Nel 1953 sale la via delle Guide al Crozzon di Brenta e la Detassis alla Brenta Alta. L’anno successivo realizza la traversata solitaria dalla Cima d’Ambièz alla Bocca del Tuckett concatenando sedici cime della catena centrale in meno di 24 ore. Un exploit unico per il periodo.

Nel 1955 sul Sass de Luesa ripete in solitaria la via Vinatzer, quindi la Oppio al Croz dell’Altissimo. Nel 1956 ritorna sul Crozzon di Brenta dove percorre in discesa e in solitaria la via delle Guide. La discesa solitaria di vie di grado elevato sarà una delle caratteristiche del Ragno delle Dolomiti. Tra le importanti vie scese da Maestri va sicuramente citata la Solleder al Sass Maor. Due importanti realizzazioni risalgono ancora al 1956: la via Micheluzzi al Piz Ciavazes e la prima solitaria invernale dello spigolo nord del Cimon della Pala.

Nel corso della sua attività alpinistica Cesare Maestri ha portato a termine circa 3500 salite di cui almeno un terzo in solitaria. La sua passione per la montagna l’ha spinto a continuare anche in età matura. All’età di 69 anni ancora pratica l’arrampicata in modo eccelso, tanto che nel 1998 ripete la via Maestri-Alimonta alla Rocca di San Leo. Nel 2002 poi organizza, con l’obiettivo di raggiungere la vetta, una spedizione sullo Shisha Pangma di cui fanno parte anche Sergio Martini e Fausto De Stefani. Durante la scalata Maestri viene fermato dal medico della spedizione a causa del mal di montagna.

Il Cerro Torre

Il Cerro Torre è la montagna che per sempre porterà il nome di Cesare Maestri.

Lo scalatore trentino gli si avvicina per la prima volta nel 1958, insieme a una spedizione italo-argentina. Arrivati alla base del Torre il gruppo di Maestri incontra un’altra spedizione italo-argentina di cui fanno parte anche Walter Bonatti e Carlo Mauri. Gli organizzatori delle due hanno degli attriti che portano al ritiro di alcuni sponsor e a gravi problemi nel finanziare la salita. Come conseguenza Maestri non riesce a tentare il Cerro Torre. Rientrato da questa amara esperienza Cesare decide di provarci l’estate successiva, insieme a Toni Egger e Cesarino Fava. A tentare la vetta sono Maestri ed Egger, partono il 28 gennaio sfruttando una finestra di bel tempo che si chiude rapidamente trattenendo i due nella bufera per giorni. Ad attenderli, alla base della parete, c’è Fava. Aspetta fino al 3 febbraio quando finalmente, dalla nebbia intravede la sagoma di Maestri in discesa. Il suo racconto è tragico. Cesare spiega di aver raggiunto la cima con Egger e che durante la discesa, lungo una via diversa, quest’ultimo è stato travolto da una valanga. I tentativi di ritrovare il corpo di Toni Egger sono vani, alcuni resti sono poi stati recuperati nel 1974. Con lui scompare anche la macchina fotografica contenente le foto di vetta. Nonostante questo, il racconto di Maestri non viene messo in dubbio, almeno fino a quando nel 1968 una spedizione inglese affronta il Cerro Torre lungo un itinerario ritenuto più semplice rispetto a quello superato nel 1959. Gli alpinisti non riescono a raggiungere la cima e, una volta rientrati, iniziano a mettere in dubbio la riuscita del progetto di Maestri. A raccogliere queste opinioni la rivista Mountain che ha in seguito analizzato a fondo la salita del 1959 focalizzando l’attenzione su tutti i punti deboli della scalata.

In seguito a queste accuse l’alpinista decide di organizzare una nuova spedizione diretta alla montagna. Parte nel 1970 insieme a Ezio Alimonta, Daniele Angeli, Claudio Baldessarri, Carlo Claus e Pietro Vidi. Il gruppo sceglie di affrontare la salita lungo l’inviolato spigolo sud-est. Scalano portando con sé un compressore con cui conficcare nella roccia dei chiodi a espansione, negli ultimi 350 metri ne utilizzano circa 400. Dopo aver ferito la roccia con l’ultimo di questi Maestri si è fermato, senza scalare il fungo di ghiaccio che forma la vetta del Torre. “Non fa veramente parte della montagna, prima o poi cadrà” la motivazione con cui il trentino ha giustificato la scelta. Nella discesa, Cesare è ritornato sui suoi passi rompendo gli ultimi trenta chiodi posizionati e ancorando a uno di essi il compressore, i cui resti sono ancora oggi visibili. Per questo il tracciato è anche chiamato via del Compressore. Per l’utilizzo massivo di chiodi a espansione la salita è stata pesantemente criticata da buona parte della comunità alpinistica internazionale. Allo stesso modo, anni dopo, la salita del 1959, che avrebbe rappresentato anche la prima salita assoluta al Cerro Torre, è stata disconosciuta dal mondo alpinistico per mancanza di prove certe riguardo la linea. Maestri continua a difendere tutt’ora la veridicità della sua versione.

Onorificenze

 

L’alpinista più bravo è quello che diventa vecchio.”

Cesare Maestri

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