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Le foreste dopo la tempesta Vaia. Rewilding o gestione attiva?

A seguito della tempesta Vaia, che nell’ottobre del 2018 ha devastato le foreste del Nord Est d’Italia, più volte si è tornati sul problema di come intervenire nelle aree boschive perdute. La risposta immediata che in ciascuno di noi sorge spontanea è per certo “ripristinare i boschi piantando nuovi alberi”. Di recente però, l’UNCEM (Unione Nazionale dei Comuni, Comunità, Enti montani), ha invitato a riflettere sull’utilità di un simile intervento, sottolineando fin dal titolo del comunicato diramato lo scorso 22 febbraio che sia “meglio gestire le foreste che piantare alberi nei Comuni montani”.

Un documento che vuol essere risposta alla campagna mediatica “60 milioni di alberi”, lanciata dalla La Comunità Laudato Si’ lo scorso anno. Un appello a piantare 1 albero per ogni cittadino italiano per contrastare la crisi climatica. Due posizioni nettamente contrapposte, che nascono, come ha ben sintetizzato l’antropologo Annibale Salsa in una riflessione pubblicata sul quotidiano L’Adige, da un “profondo solco culturale che divide chi ha una percezione dell’ambiente costruita all’esterno dei territori montani e chi vive la montagna in presa diretta, quotidianamente”.

Cerchiamo di comprendere dunque i due punti di vista, partendo da un’analisi del comunicato UNCEM.

UNCEM e l’invito a una gestione attiva

“Nei giorni scorsi, Uncem ha appreso con sorpresa che i Comuni sono stati raggiunti da nuove proposte e inviti a piantare alberi. Una soluzione semplicistica per affrontare le sfide climatiche ed ecologiche in corso. Uncem ha voluto intervenire, con Sisef, Ordine degli Agronomi e Forestali, Crea e tanti altri soggetti associativi e istituzionali per “indirizzare” e anche correggere la campagna “60milioni di alberi” partita con molta eco mediatica nei mesi scorsi. Se nuovi alberi si vorranno piantare, questi vanno piantumati dove serve, nelle aree urbane secondo l’apposita Strategia, nelle zone metropolitane, prevedendo le adeguate essenze e anche efficaci strumenti per la gestione del verde nel futuro.

Di certo, nelle aree montane del Paese il problema e la necessità non è piantare nuovi alberi. I Comuni alpini e appenninici lo sanno bene. Perché ogni giorno si trovano a lavorare, a cercare risorse, a impegnarsi per una migliore gestione attiva della superficie forestale, 11 milioni di ettari di bosco dell’Italia. Tanti. Che se cresceranno ancora un po’ senza gestione, senza avere una corretta pianificazione, diventeranno sempre più un problema. Questa è la nostra urgenza, questo è anche il lavoro dei Comuni montani, insieme, con Unioni montane e Comunità montane. Gestire il bosco che c’è”.

Il ruolo dei Comuni montani

Cosa consiglia in sintesi Uncem ai Comuni di montagna? “Due cose, urgenti. Di continuare percorsi per la gestione attiva dei boschi pubblici e operare in accordo con i privati (stiamo lavorando anche noi come Uncem per scrivere la Strategia forestale nazionale prevista dalla legge forestale del 2018). Ci sono moltissime cose da fare: tagliare con turni di taglio regolari, realizzare strade e piste, piazzali e pezzi di filiere corte ed efficaci per rendere i boschi più produttivi e protettivi, a vantaggio di protezione dei versanti e difesa dal dissesto. Sosteniamo le imprese, le cooperative forestali, le associazioni di proprietari e di imprese. Avviamo in Italia, con tutti gli Enti locali protagonisti, una seria politica forestale che incroci industria ed energia, senza separare i problemi della riorganizzazione della proprietà e l’ammodernamento delle imprese.

La seconda cosa da fare è provare a individuare almeno qualche ettaro di superfici, nei nostri Comuni montani, di prato-pascolo. È stato troppo mangiato dal bosco. Ne abbiamo sempre meno. Eppure, l’assorbimento di CO2 del prato-pascolo raggiunge livelli importantissimi. E l’abbandono delle superfici agricole va contrastato con chiare politiche e indirizzi anche da parte dei Comuni. Abbiamo perso troppe aree a pascolo. E biodiversità. E imprese agricole, lavoro, reddito, valore. A farne le spese è l’economia della montagna, tantopiù perché invase da un bosco dallo scarso valore”.

“Dunque, nei Comuni montani stiamo bene anche con un albero in meno, meno demagogia e più concretezza. L’economia della montagna ha nell’agricoltura, nell’allevamento e nelle gestioni forestali attive tre grandi pilastri. Non perdiamoli e non abbattiamoli raccontando che un albero in più ci protegge sempre e comunque (indipendentemente da dove e come viene messo a dimora) da cambiamenti climatici e mancanza di biodiversità. Un albero in più, ai Comuni montani oggi non serve”, conclude il Presidente nazionale Marco Bussone.

L’economia prima di tutto

Andando a sintetizzare, l’Ente chiede ai Comuni di non guardare alla sola bellezza del bosco ma al suo valore, al suo diretto collegamento con l’economia montana, che in questo periodo storico in cui si cerca di combattere lo spopolamento delle quote più alte, è bene sostenere. Una posizione diametralmente opposta a quella di coloro che auspicano al restauro e alla conservazione delle superfici boscate.

L’opinione di questa seconda frazione del mondo forestale, come sintetizzato efficacemente del decano dei forestali italiani Fabio Clauser, che afferma: “Non so chi sia l’autore dell’articolo, ma mi pare che non conosca bene le cose di cui scrive. Non sia in grado di fare proposte sensate. Quella di piantate alberi in città invece che  in montagna,  per esempio, mi sembra tanto simile a quella di costruire le città in campagna per salvarsi dall’inquinamento”.

Mettere da parte le emozioni

Proposta allora sensata o insensata quella avanzata da Uncem? Nel tentativo di fornire una risposta a tale quesito, Annibale Salsa, nel suo intervento sull’Adige, afferma che “a seguito della tempesta Vaia qualcuno sosteneva, sotto l’effetto dell’emozione suscitata dalla catastrofe ambientale e quindi psicologicamente comprensibile, che ogni albero schiantato andava rimpiazzato con una nuova pianticella da rimboschimento”.

Una proposta che nasce dal cuore ma non tiene conto di due problemi fondamentali della montagna: il “re-inselvatichimento (rewilding, ndr) caratterizzato dall’avanzata naturale del bosco con piante pioniere”, che va a modificare in maniera significativa i paesaggi, riducendo gli spazi occupati da prati e pascoli. E il cambiamento climatico, che “sospinge verso l’alto la fascia vegetazionale arborea e arbustiva andando a invadere le praterie d’alta quota dove insistono i pascoli e le malghe”.

Secondo l’antropologo è importante dunque relativizzare i problemi dell’ambiente montano al momento storico in cui essi si presentano. “Altrimenti finiamo per assecondare una visione dogmatica e assolutistica della realtà che contrasta con una seria valutazione scientifica”.

Gestione attiva vs rewilding

Il futuro della montagna dopo Vaia ha dunque davanti a sé due strade potenziali: quella della gestione attiva e quella del re-inselvatichimento.

Non esistono mezze misure che consentano di risolvere questo diverbio? Tra queste due opzioni ci potrebbe essere anche una terza strada, suggerita dal Roberto Mercurio, membro del Consiglio Direttivo della SIRF (Società italiana di Restauro Forestale), ossia di una Gestione soft dell’abbandono con regolamentazione leggera”. Una strategia che “potrebbe assicurare una presenza minima dell’uomo sul territorio e una redditività dignitosa, derivante da attività selvicolturali flessibili, caccia agli ungulati, pesca, raccolta e commercio dei prodotti del sottobosco, ecoturismo, autoresponsabilizzando le comunità locali ad un uso conservativo del capitale naturale”.

 

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Un commento

  1. Forse dovrebbero decidere di pulire i boschi caduti, prima di ragionare fantasiosamente sul futuro.
    E’ quasi già passato un anno e mezzo e i vari comuni han solo fatto sistemare strade e qualcosa di pericoloso.
    Non possono continuare a lasciare ai privati l’iniziativa, sperando nell’intervento divino.
    Ma è una mia opinione da persona estranea ai luoghi e non politica, che non conosce tutte le problematiche di spartizione e di equilibrio dei vari interessi e poteri locali.

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