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Dhaulagiri. Moeses Fiamoncini racconta l’incidente a 50 metri dalla vetta

Lo scorso 3 ottobre avevamo annunciato l’arrivo in vetta al Dhaulagiri di Sergi Mingote alle ore 10:11 (ora italiana). Nelle ore successive sono iniziate a circolare voci del raggiungimento della cima anche da parte del cileno Juan Pablo Mohr e del brasiliano Moeses Fiamoncini. L’attesa di conferme è stata piuttosto lunga.

Mohr ha annunciato la vetta 24 ore più tardi. Fiamoncini è rimasto per alcuni giorni nel silenzio. Soltanto una volta giunto a Kathmandu ha trovato la lucidità per dare notizia dell’incidente di cui è rimasto vittima a 50 metri dalla vetta. Un imprevisto che, come ci ha raccontato questa mattina, è stato da un lato causa di delusione, dall’altro fonte di nuova energia per proseguire nel suo proposito di salire i 14 Ottomila possibilmente senza ossigeno supplementare.

 

Moeses, aiutaci a fare un po’ di chiarezza. Vi abbiamo lasciati tutti in partenza dal C3 del Dhaulagiri nella notte tra il 2 e il 3 ottobre. Cosa è successo durante la salita?

“Siamo partiti a gruppi nella notte del 2 ottobre. Il primo è partito verso le 8 di sera. Un’ora più tardi anche Sergi ha lasciato il campo. Io personalmente sono partito alle 10.30 circa. I due sherpa che hanno fissato l’ultima parte della via hanno intrapreso la salita verso le 2 del mattino del 3 ottobre. In sintesi ero tra gli ultimi a salire e tra uno e l’altro avevamo circa 15 minuti di distacco. Al momento dell’incidente ero l’ultimo in coda per salire in vetta”.

Puoi spiegarci meglio la dinamica del tuo incidente?

“Ero impegnato nell’attraversamento di una parete rocciosa, a meno di 50 metri dalla vetta. In primavera si tratta di una zona di pura roccia nuda. Ma in questo periodo è coperta da parecchia neve, anche mezzo metro in alcuni punti. Nelle aree più pulite diciamo che si toccavano i 30 cm di neve. Cercavo di avanzare aiutandomi con la piccozza ma in alcuni punti era difficile tenerla ancorata alla roccia. E così ho perso la presa e sono caduto per una decina di metri. Sono riuscito a frenare la caduta ma poi sono scivolato per altri 7-10 metri”.

Quali conseguenze ha portato questa caduta?

“Non so bene come sia successo, ma il casco si è rotto. Il problema maggiore è però stato che i miei scarponi, così come il piumino e i guanti, si sono riempiti di neve. Ho impiegato 15 minuti a cercare di riscaldare le mani per potermi muovere. Le sentivo totalmente congelate”. 

Hai quindi deciso di scendere…

“No, in realtà ho deciso di salire! Ero a meno di 50 metri dal mio obiettivo! Ho iniziato a salire ma poi mi sono detto che c’era troppo vento e in queste condizioni, fradicio come era, rischio davvero di andare incontro a congelamenti pesanti. In aggiunta, ero a 9 ore da C3, una distanza non facile da percorrere così bagnato. Ho dovuto lasciare spazio alla ragione”.

Non hai chiamato qualcuno in tuo soccorso?

“Davanti a me c’erano Sergi, il bulgaro Atanas Skatov e un’alpinista svizzera con il suo sherpa di accompagnamento. Ma sai, quando sei lì a due passi dalla vetta, è come se nessuno si interessasse più degli altri. Devi procedere. Quindi mi sono fatto forza e sono sceso da solo e sono arrivato nella notte a C3”.

Lì hai ritrovato il tuo compagno di cordata J.P. Mohr?

“Sì, siamo rimasti una notte a C3, condividendo la stessa tenda. All’indomani siamo scesi a C2 e il terzo giorno abbiamo raggiunto il campo base. Da lì sono stato evacuato in elicottero e trasportato a Kathmandu”. 

Dov’era J.P. al momento della tua caduta?

“Davanti a me di circa 15 minuti. Anche Sergi non era distante da me al momento della mia caduta. Ma credo non abbia visto. Atanas mi ha visto cadere mentre era in vetta”.

Conseguenze fisiche della tua disavventura?

“Fortunatamente solo congelamenti di primo livello a mani e piedi. Recupererò in fretta! Sto bene! Unica cosa è davvero angosciante pensare che ero lì, a due passi dalla vetta”.

Ammettilo, stai già pensando di tornare al Dhaulagiri?

“Ebbene sì. Primo obiettivo del prossimo anno sarà l’Annapurna, poi punterò nuovamente al Dhaulagiri”.

Tirando le somme, come hai vissuto questa spedizione?

“Affrontare un incidente simile è forse più significativo che raggiungere la vetta. Mi sento nato una seconda volta, è stato un imprevisto che mi ha reso più forte. Una specie di nuovo inizio, in cui ti senti più carico di prima”.

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