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Fabiano Ventura sulle tracce dei ghiacciai, alpini

Sulle tracce dei ghiacciai, un progetto di cui certamente avrete già sentito parlare. È l’ambizioso programma, che unisce ricerca scientifica e sensibilizzazione sul tema dei cambiamenti climatici, che sta portando avanti Fabiano Ventura. Fotografo romano, specializzato in tematiche ambientali e fotografia di paesaggio e montagna, da ormai dieci anni si sta impegnando anima e corpo in questo mastodontico lavoro di confronto fotografico che prevede l’utilizzo della tecnica Repeat Photography. L’obiettivo? Scattare fotografie dei grandi ghiacciai del Pianeta dalle stesse prospettive in cui cento o più anni fa pionieri della fotografia di montagna hanno realizzato suggestivi scatti delle masse glaciali. Un’operazione che consente di mettere a confronto come il ghiacciaio si sia evoluto nel corso di un secolo, come sia cambiato il suo aspetto, quale sia stata la perdita di massa dovuta ai cambiamenti climatici.

Un progetto, come abbiamo già detto, enorme che parte nel 2009 in Karakorum e che da allora ha visto la realizzazione di cinque spedizioni fotografiche (Karakorum, Caucaso, Alaska, Ande, Himalaya), 74 fotografie comparative, 6 progetti di ricerca realizzati e 25 ghiacciai analizzati. L’ultimo tassello, per questo grande progetto di sensibilizzazione, sono le Alpi con i suoi ghiacciai sempre più colpiti dal global warming. La spedizione principale è prevista per il 2020, ma già quest’estate Fabiano si è mosso lungo le Alpi Occidentali fotografando alcune delle più significative masse glaciali alpine. Siamo andati a cercarlo per farci raccontare le prime impressioni su quest’ultima parte del lavoro.

 

Fabiano, partiamo dall’inizio. La ricerca iconografica sulle Alpi è stata più facile o più difficile rispetto a quella delle precedenti spedizioni?

“Enormemente più difficile a causa della mole di materiale a disposizione. Le Alpi sono state fotografate fin da quando esiste la fotografia e non solo da fotografi professionisti. Questo vuol dire che da metà Ottocento a oggi centinai di fotografi hanno prodotto una quantità di materiale difficilmente immaginabile e certamente non paragonabile a quella disponibile per le altre catene del mondo. Luoghi più selvaggi e meno frequentati mentre per le Alpi il discorso è completamente diverso.”

Ovvero?

“Si tratta della catena più famosa al mondo, della più fotografata, della più antropizzata. Tutte caratteristiche che hanno permesso di produrre molto più materiale rispetto a quel che è oggi il database storico per catene come quella del Karakorum o delle Ande dove i fotografi presenti nei primi del ‘900 erano pochissimi. Per quanto riguarda il Sud America il primo è stato Alberto Maria De Agostini. Pionieri che per ragioni religiose o questioni familiari avevano la possibilità di affrontare viaggi di questo tipo visitando le zone remote del Pianeta.”

Cosa ti immaginavi di osservare lungo le Alpi?

“Avendo immaginato e lavorato tanto a questa spedizione un’idea me l’ero già fatta. Sapevo a cosa potevo andare incontro, avendo già fotografato molto l’arco alpino.

Nel corso degli anni, mano a mano che il progetto ‘Sulle tracce dei ghiacciai’ cresceva, ho iniziato a maturare la necessità di comunicare a un grande pubblico quelli che sono i cambiamenti climatici grazie alla tecnica del Repeat Photography. Una pratica che non ho inventato io, ma che viene comunemente utilizzata dai glaciologi in modo forse molto più approssimativo rispetto alla tecnica da me ideata.”

Cosa intendi?

“Io ho voluto implementare la tecnica fotografica a livello scientifico effettuando un approfondito studio sulle lastre e sugli obiettivi utilizzati dai primi fotografi e cercando di riprodurli per poi ottenere le stesse distorsioni e ottenere così una sovrapposizione punto punto dell’immagine moderna con quella storica in modo molto preciso.

I glaciologi utilizzano il metodo di confronto in modo molto più approssimativo. Non vanno alla ricerca dell’esatto punto geografico in cui cento o più anni fa si è posizionato il fotografo con la sua attrezzatura, come invece faccio io.”

Ci sei riuscito anche sulle Alpi?

“Si, sono riuscito a scattare molte foto di confronto soprattutto con quelle dell’etnologo valdostano Jules Brocherel, appartenenti all’archivio della Regione Valle d’Aosta. Ho effettuato numerosi scatti dal Monte Rosa alla Val Ferret, sul massiccio del Monte Bianco.

Ho ripetuto molte immagini di Vittorio Sella e Alfredo Corti. Corti, bravissimo fotografo, alpinista e professore universitario valtellinese che ha prodotto molto materiale sulla sua valle, un archivio conservato e valorizzato dalla sezione Cai valtellinese.”

Quali sono state le più significative fotografie che hai ripetuto?

“C’è stata un grossa perdita di massa glaciale, soprattutto delle fronti. Grossi arretramenti e veri e propri collassi. Tutte condizioni che mi aspettavo dopo essere stato in Caucaso, catena montuosa molto simile: con ghiacciai vallivi, che arrivano spesso in bassa quota. Il riscaldamento globale ha inciso molto su queste zone dei ghiacciai portandole alla loro scomparsa. Quelle che un tempo erano valli glaciali adesso sono valli detritiche dove stanno crescendo larici e arbusti.”

Qualche esempio?

“Il ghiacciaio dei Forni, in alta Valtellina. Ma anche la Pré de Bar sul Monte Bianco, una calotta glaciale che a fine Ottocento occupava tutta la valle e di cui oggi non rimane quasi più nulla. La lingua glaciale si trova incastonata in mezzo alla roccia, circa 500 metri più alto rispetto a un tempo. Caratteristica questa che non è isolata ma comune a tutti i ghiacciai a sud del Monte Bianco.”

A livello di antropizzazione invece, hai riscontrato grossi cambiamenti?

“Enormi cambiamenti visibili in quasi tutte le zone visitate, soprattutto sul monte Bianco. Negli ultimi cento anni si è assistito a uno sconvolgimento dal punto di vista paesaggistico, basti pensare alla realizzazione del traforo del Monte Bianco negli anni Sessanta. La zona è completamente cambiata: al tempo, quando Vittorio Sella li fotografò, quei ghiacciai erano raggiungibili con giorni e giorni di cammino. A noi oggi è stato sufficiente un pomeriggio per ripetere le stesse fotografie.”

Cosa ti aspetti per l’anno prossimo?

“Innanzitutto sono curioso di visitare i tanti archivi presenti in Svizzera, Valle d’Aosta, Francia, Londra dove si trovano la Royal Geographical Society e l’Alpine Club. Ma oltre a questi anche altri dove poter recuperare molto materiale storico su cui lavorare.

Durante questa pre-spedizione ho ripetuto più di 30 foto storiche, per la prossima estate conto di poterne ripetere più di 100 lungo tutto l’arco alpino.”

Eri da solo o hai avuto dei compagni in questo pre-viaggio alpino?

Le spedizioni di questo progetto vengono realizzate sempre in team con il coinvolgimento di miei colleghi, filmaker, glacologi. In occasione della pre-spedizione ‘Alpi 2020’ mi hanno accompagnato i filmaker Federico Santini e Matteo Pavana, Riccardo Scotti e Marco Manni, entrambi fanno parte del Servizio Glaciologico Lombardo. Riccardo è un glaciologo che ha già partecipato alle passate spedizioni in Caucaso e in Alaska.

Toglici ancora una curiosità. Sappiamo che stai per inaugurare la mostra del progetto “Sulle tracce dei ghiacciai”. È vero?

“Si, inaugurerà proprio questa sera presso i Musei Civici di Bassano del Grappa la mostra fotografica che espone i risultati delle passate spedizioni con le fotografie di confronto dal Karakorum, Caucaso, Alaska, Ande e Himalaya. Scatti simbolici che testimoniano in modo inequivocabile gli effetti dei cambiamenti climatici. La mostra sarà visitabile per cinque mesi, fino al 17 febbraio 2020”.

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