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Karl Unterkircher, buon compleanno

Dopo 10 edizioni hanno cancellato il premio biennale che i famigliari e gli amici avevano istituito per ricordare Karl Unterkircher, che oggi 27 agosto avrebbe compiuto gli anni. Un riconoscimento agli alpinisti bravi e innovatori. Si sa, la memoria si affievolisce, le finanze si assottigliano e forse anche i nomi degli alpinisti e le imprese che potevano degnamente rappresentare lo spirito di Karl si son fatte rare (o più semplicemente è difficile metterle insieme su un palco).

Ma lo spirito e i valori dell’azione di Karl Unterkircher dopo tanti anni, rimangono immutati nella memoria. Bravura, libertà, rispetto, competenza, umiltà, coraggio e ambizione di lasciare un segno nella storia dell’alpinismo, ma anche allegria e simpatia.

Lo ammirai all’Everest e sul K2 e ancor più sul Gasherbrum II, quando con Daniele Bernasconi e Michele Compagnoni aprì una splendida via sul vergine versante nord. Era vero alpinismo.

Poi il Nanga Parbat. Fu attrazione fatale, lo volle intensamente pur sapendo che quel versante magnifico e intonso, il Rakhiot -che si ammira dalle foreste di conifere e dai pascoli di Fairy Meadows -, poteva essere letale

Avendolo in mente (anche per analogia ambientale e di situazione), ho dialogato  a lungo con Karl quest’inizio d’anno riguardo un altro mio amico, Daniele Nardi, anche lui preso dell’idea di salire il Nanga, in inverno per una via complessa e pericolosa, ma splendida per l’estetica e per storia: la Mummery. Gli ho chiesto se fosse giusto, se fosse concepibile affrontare un simile rischio, se chi ha figli, piccoli o grandi, uno o di più, può mettersi su pareti e vie così rischiose su montagne così complesse. Ancora una volta mi ha risposto con una frase che scrisse prima di salire sulla sua montagna, consapevole e umile sintesi dell’uomo alpinista nell’era della comunicazione: “Siamo nati e un giorno moriremo. In mezzo c’è la vita. Io la chiamo il mistero, del quale nessuno di noi ha la chiave. Siamo nelle mani di Dio e se ci chiama dobbiamo andare. Sono cosciente che l’opinione pubblica non è del mio parere poiché, se veramente non dovessimo più ritornare, sarebbero in tanti a dire: ‘Cosa sono andati a cercare là? Ma chi glielo ha fatto fare?’. Una sola cosa è certa, chi non vive la montagna, non lo saprà mai! La montagna chiama!”

Purtroppo, anche coloro che vivono in montagna e che la montagna l’hanno dentro e la interpretano con maestria talvolta, nella smania di interpretare se stessi, pongono malevolmente le stesse domande alle quali forniscono spesso anche le risposte, quasi sempre inesplicabili e contraddittorie.

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5 Commenti

  1. Buon compleanno Grande Uomo e Grande Scalatore!
    Bravo Sig. Agostino che lo ha ricordato.
    Sig. Agostino, aspetto un suo articolo anche su Daniele, naturalmente se e quando se la sentirà.

    1. Bel ricordo, anche io (e credo molti altri) gradirei un ricordo di Daniele e qualche risposta in più su quei maledetti giorni al Nanga. A proposito, qualcuno ha informazioni relativamente al libro che Daniele stava scrivendo e che sarebbe stato ultimato dalla giornalista che lo aveva seguito al Base Camp del Nanga? Grazie

  2. Si ama una persona, magari pallida, in carne e ossa ma quando la persona se ne va e la carne non c’è più, si ama lo scheletro?

  3. Bellissima la famosa citazione di Karl, soprattutto la parte in grassetto.

    Da spiattellare in faccia ai conoscenti che con fare superiore, ti chiedono che cosa ci vai a fare in montagna. Penso che ognuno di noi conosca almeno uno di questi personaggi, che non capiscono la bellezza della montagna.

  4. Avevo proiettato in Karl tutto quello a cui avevo dovuto rinunciare per continuare a fare bene il mio lavoro, che diventava sempre più “ingombrante”. Non potevo permettermi certo allenamenti quotidiani in parete o sugli sci. Vedevo in Karl ciò che avrei forse voluto ma non avevo potuto essere io, rappresentava la parte di me che avevo dovuto mettere da parte, i miei desideri e i miei sogni di alpinista. Era un fratello, avevamo lo stesso modo di pensare nell’avvicinarci alla montagna, la stessa serenità. Quando è precipitato nel crepaccio al Nanga Parbat, con lui se ne è andata una parte di me. Mi chiamò dall’aeroporto la mattina della loro partenza, piansi a dirotto….erano le 9.10 del mattino: sapevo che non l’avrei mai più rivisto….

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