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Denis Urubko e l’alpinismo al tempo del 5G

Denis Urubko, fuoriclasse kazako naturalizzato polacco e residente a Bergamo, è riuscito a portare a termine quello che era il suo sogno da anni: una nuova via sul Gasherbrum II. E l’ha fatto a modo suo: con un alpinismo in stile alpino, senza ossigeno, senza portatori d’alta quota, senza satellitare, senza radio e, soprattutto, senza nessun tracker gps con cui seguire il suo avanzamento metro dopo metro.

Partito solo e leggero è andato e tornato come si faceva un tempo, come negli anni Cinquanta o Settanta. Su è giù in velocità come Hermann Buhl sul Nanga Parbat, come Reynhold Messner nell’Ottanta sull’Everest o come Krzystof Wielicki sul Lhotse. Pagine che oggi fanno parte della letteratura d’avventura, dell’alpinismo esplorativo. Imprese che sembrano lontane nel tempo, ma che ogni tanto ritornano come un folata di vento impetuosa a ricordarci qual è il significato profondo dell’alpinismo. È esplorazione, ambizione personale, analisi e riflessione delle proprie capacità, avventura.

Alpinismo significa ricercare un confronto con qualcosa di ignoto, con quel tanto affascinante ambiente ricco di incognite e pericoli. Per chi sta a casa, per gli appassionati e per i cronisti, non c’è nulla di più emozionante che poter seguire in diretta, che poter dialogare con quel piccolo puntino in movimento sulla grande montagna. Oggi, quando si arriva in cima a un Ottomila si chiama casa per dare la notizia al proprio staff, che poi si occupa di diffonderla al mondo attraverso i social. Un momento di felicità dilagante ma, lo sappiamo tutti, la discesa ha ancora da venire.

Web, social, comunicazione istantanea rappresentano un progresso, ma tutto dipende da come vengono utilizzati. Così, ieri, mentre Denis continuava la sua salita “solo, senza satellite e radio, verso il suo sogno” – come riporta uno dei pochi post sulla pagina Facebook di Urubko – già si iniziava a temere il peggio immaginando situazioni di emergenza e soccorsi in elicottero. “Ma Denis?”, “Ci sono notizie?”, “Ci sono problemi?” sono solo alcuni dei messaggi ricevuti. No, non ci sono problemi, è solo un tipo di alpinismo a cui non siamo più abituati. Quello che, per l’appunto, quando torna a comunicare ci fa sognare i tempi andati delle grandi imprese himalayane.

È vetta! Ma da dov’è passato? Che via ha percorso? Su che versante? Non si sa ancora, con calma ce lo racconterà. Come non si sa ancora? Impossibile, o quasi, oggi. Eppure Denis è così, parla poco anche di persona. A lui piace fare e solo dopo raccontare, con buona pace per noi giornalisti ingordi di cronaca e per tutti gli appassionati. È qui che sta l’avventura, quella vera. Quando si è contornati solo dalla natura aspra e inospitale si vive qualcosa di molto più intenso. Come scriveva tempo fa l’alpinista e storico Alessandro Gogna, “quando si è circondati da tecnologia non si è più capaci di ‘sentire’ l’ambiente a noi circostante, un’amputazione delle nostre possibilità e capacità”. Si assiste allora a una de-molteplicazione della “nostra esperienza individuale”.

Per farla breve, troppa comunicazione, troppe dirette, corrono il rischio di portare facilmente alla noia disincentivando i giovani a sognare quelle terre lontane. “Credo che l’himalaysmo social degli ultimi tre anni abbia definitivamente ucciso lo stesso concetto di himalaysmo” racconta il giornalista di Repubblica Leonardo Bizzaro. “Quelle montagne rappresentavano l’ultima frontiera dell’avventura, per cui si partiva lasciando a casa il cellulare”, con se solo un satellitare per brevi e concise comunicazioni. “Per capire davvero cosa significa avventura ed esplorazione consiglio di andare in libreria a sfogliare ‘The Himalayan club. Le mappe leggendarie’ di Harish Kapadia dove si possono trovare mappe, anche recenti, con i resoconti delle spedizioni”. Di quel mondo che apriva uno spiraglio nell’immaginazione verso una frontiera totalmente diversa rispetto a quella alpina dove “basta alzare il telefono e l’elicottero arriva”.

Grazie Denis per averci ricordato le emozioni che sa regalare l’himalaysmo.

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