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La montagna non è un giardino di proprietà di pochi eletti

Leggendo il contribuito di Enrico Camanni mi è venuta una riflessione. Il “nuovo mattino” è nato quando la scelta di uscire dalle certezze del boom economico aveva un significato fortemente ideologico: rifiuto da una parte e ricerca di sensazioni forti dall’altra fino a un compiacimento della diversità, dove l’andare in montagna diventava un piacere quasi esclusivo e per pochi.

Oggi viviamo in una situazione totalmente diversa. Possiamo dire che è cambiato tutto.

Viviamo in un “nuovo mondo” non più in un “nuovo mattino” e dobbiamo capire che i valori, i significati e le aspettative sono altri. Se decidiamo di vivere nella nostalgia del passato siamo, secondo me, fuori dal mondo; siamo vecchi e inascoltabili dai cittadini del mondo di oggi. Dovremmo invece confrontarci con le persone che ci circondano e con i loro valori, anche con chi oggi frequenta la montagna e appartiene a un mondo diverso da quello di 40 anni fa, ma anche completamente differente da quello di 10 anni fa. Questo è un dato di fatto, che ci piaccia o no.

Quando è stata lanciata l’idea del club delle Seven Summit non avevamo compreso a fondo come questo come avrebbe cambiato l’approccio alle montagne, in particolare ad alcune: salirle senza un’etica precisa dava comunque diritto ad un titolo esclusivo, un trofeo di cui vantarsi con amici.

A questo aggiungiamo che economia, consumo, sviluppo sono motori di questa società, anche nei paesi “poveri”: i nepalesi, che avevamo incensato come buoni e quasi santi, sono diventati i gestori quasi esclusivi delle spedizioni commerciali con interessi sempre crescenti e lo sfruttamento dei loro stessi connazionali sottopagati che vengono reclutati nelle campagne e che di sherpa hanno solo un nome acquisito.

Non scandalizziamoci, è troppo facile criticare e l’alternativa è fare gli anarchici estremi o andare a vivere nella solitudine in remoti posti nel mondo.

Guardiamo cosa succede non solo sull’Everest, ma anche sul Monte Bianco, dove funziona tutto allo stesso modo: code, prenotazioni, vigili del traffico, regolamenti ecc. sulla via normale, mentre sulle altre cime è il deserto.

Mi chiedevo in questi giorni come mai anche gli alpinisti top dell’era attuale non riescano a ripetere le grandi vie delle pareti dell’Everest o ad aprire vie nuove. Per salire l’Everest anche loro devono quasi sempre partecipare a una spedizione commerciale e fare la coda come i “turisti” tanto criticati.

Tutto questo di certo non ci piace e preferiremmo vedere un altro approccio alla montagna, ma anche se si ridurranno i numeri dei permessi lo stile turistico del sovraffollamento delle vie normali rimarrà, come rimane il bollino rosso sulle strade nei week end, con un numero elevato di incidenti anche mortali, come crescente è il numero di persone che frequentano le crociere sulle grandi navi nonostante i ripetuti incidenti.

Salire una montagna nuova rimane un alpinismo di ricerca che potremmo chiamare “nobile”, come pure la salita senza ossigeno sempre più rara al giorno d’oggi, ma non possiamo escludere altri modi di vedere le cose che non ci piacciono e che risultano sempre più frequenti. La montagna non è e non può essere considerata solo un giardino di proprietà di pochi eletti.

Rimane assolutamente necessario garantire in ogni modo il rispetto di un ambiente fragile e su questo siamo tanto ignoranti anche nelle piccole spedizioni.

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