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Enrico Camanni e Matteo Della Bordella sull’Everest: quello non è alpinismo

In questi giorni si è fatto tanto parlare delle code sull’Everest, le immagini provenienti dal tetto del mondo hanno suscitato indignazione e scatenato polemiche non solo sulle testate specializzate, ma anche su quelle generaliste. L’alpinismo si è nuovamente guadagnato un suo spazio di visibilità, anche se questo non era forse il modo in cui avremmo voluto leggerlo sui principali Quotidiani del Paese.

Tra i tanti pareri e commenti due sono stati particolarmente interessanti. Da un lato l’alpinista e storico torinese Enrico Camanni che si domanda, attraverso la sua pagina Facebook, a cosa possa essere servito il nuovo mattino. Non lo so, ma guardate la foto […]. Racconta il conformismo dell’estremo. In nome del narcisismo individuale abbiamo inventato l’avventura di massa. Invece la risposta del Nuovo Mattino era a due passi da casa, tra i larici e i rododendri. Era immaginata, non copiata. Dure le parole di Camanni che ripercorre ancora una volta con il pensiero quegli anni ’70 che hanno visto nascere sulle Alpi Occidentali il movimento del Nuovo Mattino. Non aveva nulla a che vedere con l’Everest di oggi. Il Nuovo Mattino era ribellione all’alpinismo esaltato di conquista dell’alpe, era arrampicata per il mero gusto di affrontare una difficoltà, anche se questa non portava a nulla. “Più che alzare il livello dell’obiettivo lo concentrava, focalizzandosi sullo stile. Se avventura è lasciare le certezze acquisite per esplorare regioni e idee sconosciute, non serve andare in cima al mondo. Infinito è lo sguardo, non la terra da conquistare.

La foto postata sulla pagina Facebook del gruppo dei Ragni di Lecco. Per gentile concessione dei Ragni di Lecco

Dall’altra parte è invece il gruppo dei Ragni di Lecco che, postando uno scatto del 1977 apre a un’altra riflessione. La foto postata ritrae i Ragni Mario Conti e Pino Negri salire lungo il pilastro Ovest-Sud-Ovest del Nevado Trapecio (5664 m). “Questa è solo una delle tantissime montagne su cui non ci sarà mai la coda. Ce ne sono un mucchio in giro per il mondo, ancora oggi!” recita la scritta di accompagnamento. “Alla fine, con quel post, non vogliamo dire nulla di così diverso da quel che già è stato detto da molti” spiega il presidente del gruppo Matteo Della Bordella. “Quello sull’Everest non è alpinismo, l’alpinismo non ha nulla a che vedere con una carovana di gente che passa su una montagna. Dovrebbe essere esplorazione, incontro con terreni sconosciuti dove ricercare l’avventura e misurarsi con i propri limiti”. Non è utopia quella di Matteo, esistono ancora “montagne senza coda”. Certo, sono meno conosciute, ma offrono l’opportunità di sperimentare un’esperienza vera dove “sei libero di scegliere quello che più ti ispira”.

Il fascino dell’Everest sta nel fatto che oltre non si può andare e quasi tutti gli appassionati, prima o poi, ci han pensato. Hanno cercato di immaginarsi cosa può significare essere letteralmente in cima al mondo. Dev’essere un’esperienza unica e forse per questo non dovrebbe essere così facile. “Di base penso che l’ossigeno andrebbe vietato, se non per ragioni d’emergenza” ci confida ancora Della Bordella. Così il sogno diventerebbe molto più difficile da raggiungere, in fondo però non tutti i posti sono adatti a tutti. La montagna è per tutti, anche per chi è immobilizzato su una sedia a rotelle, ognuno deve però viverla secondo quelle che sono le proprie possibilità arricchendosi delle proprie esperienze e dei proprio traguardi.

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