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Doppia ascesa dell’Everest di Kilian Jornet. I dettagli della fase di acclimatazione in un articolo scientifico

Nel settembre 2018, a un anno dalla doppia ascesa dell’Everest realizzata in una sola settimana, nel maggio del 2017, da Kilian Jornet, avevamo parlato delle polemiche sorte attorno a questo record, determinate soprattutto dall’assenza di prove tecnologiche dell’effettiva vetta. Il tracciato del suo GPS ha infatti riportato come quote massime raggiunte 8.593 m nel primo tentativo (22  maggio) e 8.678 m nel secondo (27 maggio). Da aggiungere ai dati numerici la scarsità di prove video e fotografiche.

Probabilmente, a due anni di distanza, ancora ci sarà chi dubiterà delle sue parole. Ma noi vogliamo spostarci per un istante dalla polemica e andare ad analizzare come l’atleta spagnolo si sarebbe preparato in fase di acclimatazione per realizzare la doppia ascesa.

Dettagli recentemente resi noti in un documento pubblicato sull’International Journal of Sport Fisiologia e performance, che vede come autori lo stesso Kilian e il fisiologo dell’Università di Losanna Grégoire Millet.

Effettivamente, considerando che Jornet viva normalmente sulla costa occidentale della Norvegia, a livello del mare, risulta complicato immaginare come possa essersi acclimatato in un tempo estremamente limitato. 10 giorni dopo il suo arrivo in Himalaya era già sul plateau sommitale del Cho Oyu a circa 8.200 metri.

Nessun miracolo né agenti dopanti ma tanta tecnologia. La prima fase della preparazione di Jornet ha visto trasformare la sua casa in Norvegia in un vero e proprio simulatore di quota. Due mesi prima della sua partenza per l’Himalaya, ha iniziato a dormire in una tenda ipossica due o tre volte alla settimana per abituarsi. Un mese prima della sua partenza ha iniziato a dormire nella tenda ogni notte, ad altitudini equivalenti tra i 4000 e i 5000 m. Un totale di 46 notti “in quota”.

Un mese prima della partenza ha anche iniziato a correre quasi tutti i giorni su un tapis roulant usando una maschera ipossica, ovvero in grado di fornire aria con contenuto di ossigeno inferiore al normale, simulando di salire in quota tra 4000 e 6000 m.

Un training anticonformista, considerando che la regola solitamente seguita per le acclimatazioni sia “live high, train low” (vivi in alto, allenati in basso). Ci troviamo di fronte a un vero protocollo “live high, train low e high” (vivi in alto, allenati in basso e in alto).

Jornet si è anche dotato di un dispositivo chiamato pulsossimetro da dito che misura la saturazione di ossigeno del sangue. In circostanze normali al livello del mare, la maggior parte delle persone ha livelli di saturazione tra il 95 e il 100 percento, il che significa che praticamente tutta l’emoglobina presente nei globuli rossi che si dirigono ai muscoli sta trasportando ossigeno. In quota, soprattutto durante l’esercizio fisico, la quantità di ossigeno veicolato inizia a scendere. Andando a valutare l’ossigenazione al termine delle sessioni in quota simulata è stato possibile monitorare l’acclimatamento di Kilian che, alla fine del mese di training, ha visto stabilizzarsi la sua saturazione all’85%.

Ovviamente questo allenamento domestico non poteva certo bastare per correre poi in vetta all’Everest in quanto le normali tende ipossiche forniscono aria a pressione normale ma con meno ossigeno del solito, mentre sulle vere montagne l’aria non ha solo meno ossigeno ma anche una pressione inferiore.

Di conseguenza, una settimana prima di dirigersi verso l’Himalaya, Kilian è volato sulle Alpi dove ha collezionato 100 ore di allenamento in quota, stavolta reale, sia in termini di notte spese a dormire in quota sia di sessioni di scialpinismo.

Il 24 aprile è infine partito per l’Himalaya. Il 27 ha raggiunto il campo base del Cho Oyu a circa 5.000 m dove ha proseguito l’acclimatazione. Cinque giorni dopo è salito a 7.500 m. Quattro giorni più tardi ha raggiunto quota 8.200 m circa. Qualche settimana dopo eccolo pronto alla conquista (doppia) dell’Everest, portando con sé giusto acqua e gel energetici.

I dubbi in merito alle due salite probabilmente resteranno lì nel tempo. Ma c’è da ammettere che una preparazione così certosina non renda estremo il pensiero che ce l’abbia fatta davvero.

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