Accadde oggi: Walter Bonatti sale in solitaria la Nord del Cervino
Se n’era andato dall’alpinismo, deluso e seccato dai continui attacchi, della stampa innanzitutto, e poi provenienti dalle persone e dagli ambienti che dopo altri vent’anni lo glorificheranno per accaparrarsene la storia e la leggenda.
Era 1965, Walter Bonatti l’alpinismo l’aveva di fatto già lasciato nel suo cuore prima di salire d’inverno il Cervino, nella testa e nei fatti lo farà subito dopo.
Quell’anno c’era la memoria di Whymper e della Gran Becca, salita cento anni prima, e l’occasione per un’ultima sfida nello stile puro dei predecessori con l’animo leggero e consapevole di confrontarsi alla pari nei mezzi e nei sentimenti con difficoltà ritenute, come spesso era accaduto per le sue salite, impossibili.
Ancora una volta, l’ultima volta per Walter.
Sceglie la parete nord, quella più scura e fredda, d’inverno, ovviamente.
Ci prova a inizio gennaio con Gigi Panei e Alberto Tassotti. In tre giorni raggiungono e superano la Traversata degli Angeli, punto chiave della via, ma la montagna dice no e li ferma in un bivacco sferzato dal vento e dalla neve. Devono scendere.
Il 18 febbraio finge una gita sci alpinistica con amici che lo accompagnano più in alto possibile per poi lasciarlo scivolare verso la parete Nord. Raccontarla oggi questa storia fa venire i brividi, per la sfida estrema che quell’uomo da solo accetta e che all’epoca rasenta la follia, ma anche per la lezione di stile e serietà che ancora oggi, tempo di chiacchieroni pre-imprese che si dicono suoi emuli, lascia ammirati.
Sale fin sulla parete e bivacca, chiudendo il pensiero dentro un nucleo d’acciaio dal quale cerca di tenere lontana la paura e l’angoscia; spera che la natura gli dia un alibi per rinunciare, ma la forza della vetta è un’attrazione fatale che lo trascina in alto. Mette tutto sé stesso nel lavoro di avnazare in sicurezza, sale un tiro di corda e si assicura, scende a prender lo zaino, risale alla sosta, una tecnica che lo costringe di fatto a salire due volte la parete e a scenderla una.
Il secondo bivacco è nelle cure della parete, con il vento e la bufera che spazzano il versante italiano, ma lo risparmiano e al mattino il sole sorge in un cielo blu. La Traversata degli Angeli viene superata e più avanti Bonatti bivacca di nuovo. Lancia due razzi, uno verde e uno bianco, è il segnale per i suoi amici, laggiù, che ora sanno che Walter ci prova fino in vetta. Forse non l’avevano mai dubitato. Sa che deve farcela e alleggerisce il carico da tutto ciò che ora ritiene inutile. La sua concentrazione è massima sui gesti alpinistici, sulla tecnica, non deve più combattere contro se stesso per rimanere sulla montagna. Supera la muraglia verticale e poi un’insidiosa fascia di rocce lisce e piene di ghiaccio, rischia la deconcentrazione ma tiene duro, con le mani, senza guanti e sanguinolente, attaccate agli appigli.
Deve bivaccare per la quarta volta e deve essere l’ultima: s’è liberato dei viveri al mattino e a 30° sottozero non potrebbe affrontarne un altro. L’alba del 22 febbraio è piena di sole, azzurro e freddo. Deve arrampicarsi su un muro, deve essere leggero, deve chiudere “oggi” la partita. Getta nel vuoto quasi tutto, anche i chiodi e poi sale, sale, sale ancora.
Alle 15.00 vede le rocce della vetta, la raggiunge e s’abbraccia alla sommità della montagna che cento anni prima era stata di Whymper. Ora è anche la sua.
Bell’articolo, però si scrive Whymper…
Che impresa!
Ha chiuso in bellezza e coraggio
la sua carriera alpinistica
mettendo a tacere ogni polemica.
un grande!
Tempi da ricordare e uomini da tenere presenti. Ma confido ugualmente nei giovani alpinisti di domani. In tanti, nel silenzio, valgono.