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Himalaya: tigri del Bengala per la prima volta a 4000 m

La tigre reale del Bengala è nota per essere presente in un’ampia varietà di ambienti del subcontinente indiano. Il suo ruggito può essere udito nelle umide foreste sempreverdi, nelle foreste di conifere e di mangrovie, nei boschi che ricoprono gli altopiani della regione subtropicale e temperata. Uno studio recente condotto dai ricercatori del Wildlife Institute of India ha dimostrato la presenza di queste meravigliose creature anche nelle regioni innevate della regione orientale dell’Himalaya.

La ricerca iniziata circa 3 anni fa ha rilevato la presenza di 11 tigri all’interno della valle di Dibang, nello stato dell’Arunachal Pradesh, nel Nord Est dell’India. Il Namdapha National Park è l’unica riserva dello stato in cui siano stati precedentemente trovati grandi felini, sia tigri che rari esemplari di leopardo nebuloso e leopardo delle nevi.  Ma il parco si trova a bassa quota.

Nel corso dello studio esemplari sono stati invece rilevati a 3246 m e 3630 m nella Dibang Valley. Lo scienziato Alan Rabinowitz è inoltre riuscito a immortalare 4 esemplari in compagnia di una troupe della BBC a 4100 metri nel confinante Buthan, grazie all’utilizzo di fototrappole disseminate sulle montagne tra 3000 e 4100 m dall’abile regista Gordon Buchanan. 

Gran parte della Dibang Valley è abitata dalla tribù dei Mishmi dunque la presenza di esemplari in un’area che non rappresenta una riserva naturale, denota l’elevata capacità che gli abitanti locali mostrano di saper convivere con i grandi felini. La cosmologia dei Mishmi ritiene che le tigri siano legate all’uomo da una relazione particolare dunque ucciderle è assimilabile ad un fratricidio.

La tigre della Dibang Valley risulta geneticamente isolata dalle altre varietà presenti nell’Arunachal Pradesh e una eventuale ibridazione potrebbe compromettere la stabilità genetica di una popolazione già fragile. La salvaguardia degli esemplari appena scoperti è resa complessa anche da progetti di costruzione di centrali idroelettriche.

C’è da augurarsi che le autorità competenti prendano a cuore la questione e trovino una mediazione tra lo sviluppo energetico e la tutela della specie a rischio.

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