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K2. Storia della montagna impossibile. Un “non libro” tutto da srotolare

Si chiama “K2. Storia della montagna impossibile” (Rizzoli Lizard, 2018) e fa impressione quando lo si prende in mano per la prima volta. Un’impressione positiva, intendiamoci. Rende il giusto omaggio alla dimensione della montagna. Grazie alla struttura grafica che, perdonate il giro di parole, destruttura il classico concetto di libro trasformandolo in una fisarmonica. Una lunga pergamena che, una volta aperta raggiunge i sette metri di lunghezza. Da un lato trova posto la scoperta e l’esplorazione della montagna, dall’altro si possono invece leggere le vicende degli alpinisti e dei primi salitori.  Un racconto accurato e ricco di dettagli che trova però il suo vero punto di forza nel concetto grafico e negli spettacolari disegni di Marco Camandona.

Sfogliandone le “pagine” sembra di tornare sui ghiacci del Baltoro ad ammirare la piramide imponente della seconda montagna della Terra, a cercarne le linee di salita che qui troviamo ben identificate. Fa impressione pensare che un lavoro così imponente sia stato portato avanti da un ragazzo, classe 1982, che nel mondo della montagna è un’assoluta novità. Ma, se di primo acchito verrebbe da domandarsi chi sia questo Alessandro Boscarino mai sentito tra gli scrittori e narratori di alte vette, una volta preso in mano il volume la domanda passa in secondo piano per lasciare spazio all’appassionante storia del K2 e di come il sentimento umano abbia saputo renderla grandiosa.

La custodia del libro

L’autore del libro, Alessandro Boscarino

Alessandro, hai realizzato un libro unico, ci racconti però chi sei e come sei arrivato alla letteratura di montagna?

Sono figlio di genitori siciliani, ma sono nato e cresciuto a Milano dove vivo e dove lavoro. Di mestiere faccio il grafico freelance e, quello per le terre alte, è stato un amore improvviso nato circa sette anni fa.

In realtà ho sempre frequentato la montagna. Quando ero piccolo avevamo una casa vicino Gressoney mentre oggi ne ho una sull’Appennino Emiliano, dove passo tutte le estati. Vado anche spesso in Dolomiti, mi piace molto andare per funghi. Sette anni fa è poi arrivata la passione per la storia dell’alpinismo. A contagiarmi è stato mio cognato che mi ha regalato “Aria Sottile di Jon Krakauer. Un bel libro, che si fa leggere. A prescindere dalla veridicità storica l’ho trovato ben scritto e l’ho divorato in due giorni, accendendo in me una passione per questo mondo così particolare.

Come sei passato da Krakauer al K2?

Dopo aver finito il libro sono subito andato in libreria e ho comprato tre titoli, tra cui il testo di Ed Viestus e David Roberts “K2: la montagna più pericolosa della terra”. Un volume carico, con questa alternanza tra il racconto personale e la storia della montagna.

Leggendolo mi sono innamorato alla storia del K2 e questo ha dato il via a tutta una serie di ricerche e approfondimenti. Ho letto altri libri, visto documentari, cercato biografie e studiato le spedizioni che negli anni si sono avvicendate sulla montagna.

Quindi tutto parte da una grande passione…

Si, di solito accade così. Quando mi prende una passione che poi so di poter tradurre in qualcosa che ha a che fare con il mio lavoro, cerco sempre di coniugare le due cose.

Quel che ho notato, in particolare, è che la letteratura di montagna ha dei canoni fissi, soprattutto nei libri che raccontano una storia. Solitamente c’è un testo con nel mezzo alcune immagini. Una impostazione che, a volte, rende macchinoso leggere e al contempo andare a vedere la foto del protagonista o a ricercare il punto lungo la montagna a cui fanno riferimento le parole.

Il mio obiettivo era cercare di rendere il tutto più scorrevole, far si che tutti gli elementi che si possono trovare in un classico libro andassero di pari passo.

Come sei però arrivato a questa struttura così particolare?

In realtà prima di assumere questa forma a fisarmonica era un libro classico. Certo, aveva delle pagina che si aprivano, ma era più canonico. In un secondo momento mi è stato poi regalato un fumetto, per puro caso edito anch’esso da Rizzoli Lizard, fatto allo stesso modo del mio K2. Quello era solo fronte con un unico lungo disegno che si srotolava. Quando l’ho visto è scattato qualcosa che mi ha fatto pensare a un’impostazione simile, stampata fronte retro con: da un lato l’esplorazione e dall’altro la salita.

Per quanto riguarda invece il contenuto?

Io sono stato il regista di un grande lavoro corale. Ho messo insieme disegnatori autori e foto scegliendo tra le persone, gli autori o gli scatti che più mi piacevano. I testi sono stati realizzati da me, con la supervisione di Mirella Tenderini. La ricerca d’archivio e fotografica invece l’ho fatta tutta da solo, chiedendo poi consigli.

La parte di ricerca è stata difficile?

È stata molto bella. Credo la parte più bella di tutto il lavoro. In questa fase ho conosciuto tante persone disponibili e generose. Ho avuto modo di creare amicizie in tutto il mondo, arricchendomi moltissimo.

Quanto tempo ti ha impegnato questo lavoro?

Tenete conto che ho un lavoro che mi impegna di giorno e che ho anche due figli. In pratica il progetto del libro l’ho portato avanti per sei anni, senza però lavorarci full time. Gli ho dedicato ogni momento libero, ogni notte e ogni fine settimana in cui non avevo altro da fare.

La passione mi ha spinto a dedicarci veramente tanto tempo, e non solo quello. All’inizio non avevo un editore, quindi ho dovuto pagare di tasca mia tutte le illustrazioni.

Toglici un’ultima curiosità, sei già stato al K2?

Mai stato al K2, mai stato in Pakistan, mai stato in Cina. Ma prima o poi ci andrò.

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