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Patagonia porta Trump in tribunale in difesa dell’ambiente naturale

È un’industria con sede negli Stati Uniti, dove ha anche il suo mercato principale. Stiamo parlando di Patagonia, azienda outdoor leader del mercato americano che dovrebbe vedere in un Presidente come Trump il sogno che si avvera. Nella realtà però le cose non stanno proprio così. Trump è troppo diverso, troppo lontano dagli ideali dell’azienda. Nonostante appartenga agli industriali, stessa categoria del fondatore di Patagonia Yvon Chouinard i due hanno una visione del mercato e dell’etica industriale diametralmente opposta tant’è che Chouinard ha deciso di muoversi legalmente contro il Presidente degli Stati Uniti.

L’azienda con sede in California ha infatti una visione drasticamente diversa sulle tematiche ambientali rispetto al magnate della costa Est. Un imprinting ambientalistico che trova terreno fertile in azienda intorno agli anni ’80. Dal 1986 infatti Chouiard devolve il 10% dei profitti pre-tasse e l’1% delle vendite a piccoli gruppi che lavorano per salvare l’ambiente. Una scelta fatta “per risarcire il Pianeta dei danni che compiamo”.

Questo è solo però un piccolo tassello ambientalistico nella fortunata azienda americana nata da un visionario imprenditore che viaggiava per gli USA con la sua incudine sotto braccio. A fianco di questa scelta economica si sono avvicendate molte altre forti “esperienze” di marketing. Esperimenti che avrebbero potuto consegnare l’azienda a un immediato fallimento, ma che alla fine hanno portato al risultato aspettato con un aumento del fatturato e un consolidamento dell’impegno ambientalista del brand.

A esempio, in occasione del Black Friday 2011 Patagonia pubblica sul New York Times una pubblicità in cui invita i lettori a non comprare un loro pile in quanto “troppo costoso per l’ambiente”. E ancora, poco dopo l’elezione del Presidente Trump, decide di devolvere gli interi profitti del Balck Friday a centinaia di organizzazioni ambientaliste. Una mossa che è costata all’azienda oltre 10 milioni di dollari, ma che ha contribuito a fidelizzare i clienti e acquisirne di nuovi.

Oggi invece la decisione di intentare causa presso la Corte Federale del distretto di Washington chiamando come imputati Donald Trump, il segretario dell’interno, il segretario dell’agricoltura, il direttore del Bureau of Land Management e il capo del Servizio Forestale. I cinque sono stati chiamati alla sbarra in quanto l’Antiquites Act del 1906 attribuisce al Presidente il potere di creare monumenti nazionali, ma non quello di ridurli come sta facendo Trump senza molti riguardi. Risale infatti al dicembre scorso la decisione di ridurre l’estensione di due monumenti nazionali: il Bears Ears (Utah) e il Grand Staircase –Escalante (Utah). Due aree protette volute rispettivamente da Obama, giusto prima della fine del mandato; e da Clinton nel 1996. A oggi il terreno sottratto a Bears Ears è disponibile per fini commerciali.

“Dobbiamo difendere anche con le vie legali questi luoghi iconici e fondamentali per il valore della natura” ha dichiarato il vicepresidente dell’azienda Rich Ridgeway.

Al momento però Trump e i suoi non hanno risposto alla causa che giace impolverata nei tribunali. La parola fine dovrà probabilmente attendere ancora molto tempo. Nel frattempo Patagonia prosegue la sua “lotta” ambientale contro il Presidente e la sua amministrazione senza farsi intimidire e senza l’intenzione di arretrare d’un passo.

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Un commento

  1. Se ne andrà anche lo strampalato, speriamo prima del previsto. Poi chi arriva dovrà pulire.
    Grazie, Patagonia.

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