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Da AKU la prima calzatura outdoor con dichiarazione di impatto ambientale

Nel mondo outdoor si è sempre discusso di quello che può, e potrebbe, essere l’impatto ambientale dell’attività. Ora, grazie ad AKU e al suo modello di scarpa Bellamont Plus con dichiarazione di impatto ambientale certificato, possiamo sapere con esattezza qual è l’effetto ambientale della scarpa sulla natura durante tutto il suo ciclo vitale, dalla produzione delle materie prime a quando la si dismette.

Cerchiamo però di capire meglio di cosa stiamo parlando dialogando con Giulio Piccin, product and sustainability manager AKU.

Da cosa nasce l’idea di valutare l’impatto ambientale dei prodotti?

È una questione a cui pensano in tanti. In AKU nasce dall’idea di agire in maniera responsabile, cioè dalla voglia di curare ogni dettaglio della propria produzione.

Si tratta di un risultato ottenuto a seguito di un processo di collaborazione con alcuni nostri fornitori con cui condividiamo questo agire responsabile. Nello specifico sto parlando della catena di fornitura dell’industria della concia che si è sempre dimostrata molto sensibile verso questi temi. Con loro abbiamo sviluppato dei pellami a basso impatto e su quella base abbiamo costruito i processi di EPD (Environmental Product Declarations). Un sistema di analisi e verifica di quelli che sono gli impatti di un prodotto, in questo casi di Ballamont Plus.

Stand Aku ad ISPO

Tutto questo ha una sua utilità?

Certamente, serve a definire in maniera scientifica una base di partenza. Noi sappiamo che produrre ha un impatto perché si prelevano risorse, perché si usa energia, perché si crea spazzatura ma non sappiamo quale. Grazie a questa metodologia possiamo quindi andare a scoprire qual è il nostro impatto e in quali aree.

Con l’EPD si raccolgono tutte le informazioni che riguardano la fase upstream (cioè su tutto quel che accade fuori dall’azienda nella fase di produzione e trasporto delle materie prime), la fase core (cioè durante la trasformazione delle materie prime in prodotto finito) e la fase di downstream (cioè tutto quel che succede dopo la produzione. Dalla consegna all’utilizzo fino alla fase di smaltimento).

 Le ricerche hanno portato a…

A capire che il grosso dell’impatto è nella fase di fornitura, quindi nella produzione delle materie prime.

La materia prima più utilizzata in questa calzatura è la pelle, quindi è la pelle la responsabile del suo impatto ambientale. Risultato che abbiamo potuto confermare grazie al fatto che lo stesso lavoro di ricerca dell’impatto, con la stessa metodologia ISO, è stato realizzato dalla conceria, dal produttore di chimica per la concia e dall’impianto di smaltimento delle acque reflue.

Cosa potete fare ora che avete questi risultati in mano?

Diciamo che possiamo tararci per ottenere due risultati principale. Da un lato cercare di utilizzare meno materie prime possibile. Cercare di avere meno scarto possibile tramite il disegno dei prodotti. Dall’altro lato farei in modo che i nostri prodotti abbiano una durata il più lungo possibile perché, dato l’impatto X di questa calzatura, se dura un anno nei prossimi dieci anni avrà impatto 10 mentre se dura dieci anni avrà impatto 1 spalmato su dieci anni.

Questa politica porta anche ad un aumento di qualità del prodotto…

Esattamente, quella è la base. Noi ovviamente già facciamo calzature studiate per durare e con questo potremo aumentare ancora il livello qualitativo.

 Creare prodotti che “durano troppo” non potrebbe però portare ad una perdita economica per l’azienda?

La nostra è una visione strategica perché se è vero, come dimostrato, che sta crescendo la sensibilità verso i prodotti a basso impatto saremo sempre noi la proposta vincente sul mercato rispetto a chi invece fa prodotti che durano due o tre mesi. Magari i nostri prodotti dureranno dieci o quindici anni anziché cinque e costeranno più di quelli che durano due mesi, ma con noi si riduce notevolmente la quantità di rifiuti prodotta.

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