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Vincenzo Torti: il Testo Unico Forestale? Un tentativo di mettere ordine

Sono andato a guardarmi lo schema di decreto legislativo perché volevo essere informato e perché io sono uno che ama prendere una posizione. Le cose che ho letto però sono davvero molto tecniche. Non parlo degli aspetti giuridici, ma di tutta la componente tecnico scientifica rispetto alla quale non sono in grado di prendere posizione. In poche parole non posso metter in dubbio le parole dei ricercatori, per cui preferisco rimanere agnostico riguardo quella parte rimettendomi alle parole degli esperti che mi hanno preceduto” spiega il presidente generale del CAI Vincenzo Torti in inizio di questo dialogo a riguardo del Decreto Legislativo relativo al Testo Unico Forestale approvato dal Consiglio del Ministri il 1 dicembre 2017 e attualmente al vaglio della Commissione Parlamentare per la Semplificazione.

Un decreto di cui abbiamo parlato già qualche tempo fa dando voce ad un professore dell’Università della Tuscia e poi spazio alla replica dell’Onorevole Enrico Borghi. Due interviste che hanno fatto il giro d’Italia portando inizialmente alla creazione di una petizione sul portale Change.org (che al momento ha superato le 8000 firme) e poi alla nascita di un vero e proprio movimento di protesta a cui hanno aderito numerosi enti, associazioni e accademici italiani che han definito questo testo di legge un “decreto taglia boschi”. In risposta al movimento di protesta, e in particolare alla raccolta di oltre duecento firme di accademici italiani, è arrivata la contro-petizione da parte dell’Accademia del Georgofili che ha predisposto un appello in supporto del Testo Unico a cui hanno aderito esponenti del mondo universitario, della ricerca non accademica, associazioni della società civile e rappresentanze di settore.  

Si è quindi combattuto (e si combatte tutt’ora) un vero e proprio duello tra favorevoli e contrari al Testo Unico. Alcuni lo combattono con tutti i mezzi possibili, dai comunicati stampa ai meno professionali gruppi sui social network, esacerbando una diatriba che sta a cuore a tutti gli amanti della natura e delle montagne che rischiano, non essendo esperti forestali, di ritrovarsi più confusi di prima.  

Io andrei a considerare l’essenza di quel di cui stiamo parlando. Viviamo in un Paese del quale continuiamo a richiamare la Costituzione come la più bella al mondo. Un testo che al suo articolo 44, comma 1 esordisce dicendo che la Repubblica si occupa dei rapporti relativi allo sfruttamento del suolo e parla di sfruttamento razionale del suolo. Utilizza un termine, ‘sfruttamento’, che oserei dire costituzionalmente molto pesante. Ed è proprio qui che nasce la mia osservazione. Quando in una nuova legislazione leggo che la finalità è tutelare e valorizzare comincio a dire che abbiamo fatto un bel salto in avanti. Si sta parlando di un capitale nazionale. Di un interesse pubblico da tutelare e valorizzare per le generazioni attuali e future, direi quindi che mi piace molto come punto di partenza. Ho però piena consapevolezza del fatto che ogni volta in cui da un lato vi è la tutela e la valorizzazione queste si debbano in qualche modo armonizzare con lo ‘sfruttamento’ di cui all’articolo 4 comma 1.

Si tratta di risorse che provengono dai boschi ed è ovvio che occorra trovare dei punti di equilibrio, come in tutte le occasioni in cui l’attività dell’uomo si confronta con le esigenze dell’ambiente. Non a caso il CAI ha adottato, per il suoi 150 anni, il bidecalogo. Un documento di autolimitazione come scelta di libertà. In poche parole la consapevolezza che la propria attività può avere un impatto sull’ambiente e sulla biodiversità, quindi ci si autolimita. Questa la chiave di lettura promossa dal CAI.

Cosa vede nel Decreto Legge?

Nel decreto vedo la volontà, quasi uno sforzo titanico, di mettere ordine in una sovrapposizione in cui uno si perde. Ci sono tutta una serie di competenze che si vanno a sovrapporre e poi, quando si legge anche solo il preambolo, ci si scontra con pagine e pagine di derivazione. Ci sono le direttive europee, i trattati internazionali sul clima, le norme nazionali, i regolamenti regionali. Una mole di regolamentazioni che poi devono essere messe a punto dagli operatori del territorio.

È piacevole vedere un decreto che cerca, da un lato, di armonizzare e dall’altro di individuare dei principi che facciano da cardine. Dei principi per cui, anche nell’applicare il singolo regolamento, non si perda di vista la vera finalità: tutelare e valorizzare. Nello schema di questo decreto si legge tutto quel che serve per renderlo effettivo ed efficacie, spero che le persone chiamate ad attuarlo colgano tutti i suggerimenti e tutte le disposizioni non continuando a far prevalere le proprie competenze regionali.

 Si può trovare un giusto climax tra uomo e ambiente?

Nel 1994 fu approvata la legge sulla montagna. Un testo che conteneva un articolo straordinario in cui si evidenziava la necessità di tutela ambientale, di protezione della biodiversità, compatibilmente con le esigenze economiche e di vita delle popolazioni locali. Per cui quando nell’articolo 1 del Testo Unico si trova scritto che il capitale naturale e un bene fondamentale da mantenere, noi questo capitale lo vogliamo rispettare in un’ottica di benessere. Tuteliamo quindi il benessere dell’ambiente, ma tuteliamo anche il benessere dato dalla valorizzazione economica delle risorse naturali.

 Quanto è importante oggi mantenere la memoria umana in montagna?

Noi quest’anno, come CAI, abbiamo rieditato il volume di Jules Brocherel titolato “Alpinismo”. Un volume del 1898, perché rieditarlo? Perché all’interno di quelle pagine io, che l’ho proposto insieme alla commissione, ritengo che si possa trovare ancora una potenzialità, una conoscenza, una riscoperta di radici che valgono oggi e che, sono sicuro, varranno anche domani. Allo stesso modo non c’è nulla di quel che fa parte del paesaggio, che sappiamo essere il rimaneggiamento dell’habitat naturale da parte dell’uomo (bello o orripilante a seconda di come l’uomo è intervenuto), che oggi non ci possa trasmettere degli insegnamenti.

Tutto ciò che rappresenta un segno dell’uomo nelle terre alte, con valenza culturale, merita di essere tutelato e valorizzato. Questo anche perché abbiamo una Costituzione che all’articolo 9 afferma che la Repubblica tutela il paesaggio e il paesaggio non è la wilderness.

 

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