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Nanga Parbat: non è ancora finita

In Polonia c’è agitazione e polemica attorno al soccorso effettuato per salvare Elisabeth Revol e che purtroppo ha dovuto lasciare Tomek Mackiewicz a 7200 sul Nanga Parbat.

Conosciamo l’esatta posizione GPS di dove Elisabeth ha lasciato Tomek e qualcuno la prossima estate salendo la difficile via Kinshofer potrà con pietà salutarlo, lasciare forse un fiore raccolto nella splendida e verde valle Diamir, sulla quale il Nanga si affaccia, oppure, se ci sarà la volontà, si potrà tentare un’azione difficile e complessa, oltre che costosa, per il recupero del corpo.

Ma veniamo all’oggi.

Da alcuni giorni il padre di Tomek e la sorella si stanno dando da fare perché venga avviata una spedizione di ricerca e recupero immediato. Hanno cercato appoggi e pare ne abbiano ottenuti dalle autorità polacche presso il Ministero degli esteri e che abbiano trovato anche sostegni economici. Supportati dal presidente di un gruppo editoriale, stanno tentando di mettere insieme un gruppo polacco-internazionale che possa raggiungere il campo base e raggiungere Tomek. Per far cosa è difficile comprenderlo.

Ieri e l’altro ieri hanno contattato le agenzie pakistane che organizzano spedizioni alpinistiche per chiedere il loro supporto e soprattutto il visto per 5 o 6 persone provenienti dalla Polonia. Ieri sera pareva che tutto fosse stato fatto e che un aereo stesse portando il gruppo in Pakistan. La smentita mattutina ci dice che nessuno è arrivato a Islamabad e che le pratiche per il rilascio dei visti e del nulla osta della polizia militare e dei servizi, per accedere alla regione del Nanga Parbat, sono cosa non immediata.

Un’ultima considerazione riguarda il fatto che gli uomini che compongono questa squadra e quelli che sono stati contattatati in Pakistan non sono per nulla acclimatati. Quindi ogni loro azione sulla montagna dovrebbe avvenire con l’uso di ossigeno. Insomma una operazione complessa e sicuramente pericolosa.

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