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Giovanni Segantini, il pittore della montagna

Testo di Achille Piacentini

Continua ed incessante fu l’opera del Club Alpino Italiano in rapporto alle manifestazioni artistiche, e più in particolare all’arte pittorica, benché poco appariscente e solo in questi ultimi tempi siasi esplicitata in modo più tangibile. La ragione di questo tardo, lentissimo movimento va ricercata nell’essenza stessa di quel sentimento che deve spingere l’artista alla montagna… Col tempo l’alpinismo fece numerosi adepti, ma non crebbero in proporzione i pittori della montagna. Forse i nuovi e più precisi metodi di riproduzione della natura furono causa di tale sosta. Ed a buon punto vennero allora le iniziative del Club Alpino, a richiamare all’Alpe i nostri pittori. Gl’incitamenti raggiunsero lo scopo cui tendevano e la nuova via non tardò ad essere seguita da valorosa schiera“.

Queste parole riprese dal capitolo che il Consiglio Direttivo del CAI dedicò all’Alpinismo nella Pittura in occasione del suo primo cinquantenario mi hanno spinto ad una riflessione con riguardo ad un Artista che, se non certo dimenticato tra i pittori della montagna, merita – secondo me – un posto di eccellenza rispetto agli altri proprio in ragione di un suo esprimersi vissuto in sincera e consapevole armonia con l’ambiente in cui operò: la montagna. E, infatti, la Sede Centrale del CAI premiò nel 1897 con una medaglia d’oro “…questo grande pittore della montagna, (che) seppe riprodurla in modo veramente evidente, analizzandone l’ossatura, rendendo al vero tutta la trasparenza dell’aria, inondando le sue tele di quella luce prepotente che regna sovrana lassù, infondendo in esse la poesia di quell’ambiente sublime…”.

Desideravo, pertanto, in occasione ancora della possibilità di poter ammirare alcune sue opere nel corso della Mostra realizzata presso il Museo Regionale di Aosta, per proporre ai lettori di Montagna.tv lo spunto di un’attenzione verso il pittore Giovanni Segantini che ci ha regalato magiche e meravigliose rappresentazioni della montagna attraverso il linguaggio dei sentimenti.

“Voglio vedere le mie montagne”, forse basterebbero queste sue parole, pronunciate a poche ore dall’imminente fine, per testimoniare il fortissimo legame che Segantini sentiva dentro di sé nei confronti della montagna. Un legame naturale, culturale, artistico. Del resto Segantini nacque, visse e morì in montagna, il suo Werden-Sein-Vergehen (Divenire-Essere-Trapassare) rappresentato nella sua opera più famosa (Il Trittico) esprime una raffigurazione della storia di tutte le cose e non solo dell’uomo ed egli va imprescindibilmente accostato alla montagna che sempre amò, sempre desiderò ed al cui cospetto visse intensamente sia come uomo che come artista.

Amò Arco, il paese in cui conobbe le profonde gioie della felicità e della spensieratezza della prima infanzia e le brevi gioie di un amore materno bello “come un tramonto di primavera”. Per quanto le circostanze lo indussero a soggiornare altrove, non si dimenticò mai del proprio paese natale: anzi, il desiderio di rivederlo divenne un sogno costante espresso nei suoi scritti e nei suoi epistolari e solamente la sfortuna gli impedì di poterlo realizzare, ma i suoi concittadini non si dimenticarono affatto del celebre pittore.

Oggi gli è dedicato un Museo (da non perdere una sua visita o quantomeno da visionarne l’eccellente sito) che è memoria delle sue grandezze artistiche ed ad Arco la famiglia Bugatti- Segantini organizza un importante premio annuale a lui dedicato quale testimonianza di un affetto mai interrotto. Anche se fu in pianura (a Milano ed in Brianza) che scoprì la sua vocazione artistica è col viso rivolto alla montagna che sviluppò la sua evoluzione tecnica salendo – e non solo metaforicamente – sempre più in altezza così come un vero escursionista guarda, osserva, impara camminando. Lasciata la dolce Brianza del lago di Pusiano nel 1886, Segantini si trasferì dapprima in Val Bregaglia fino al 1894 (soggiornando ai 1.200 metri di Savognino) e definitivamente al Passo del Maloja (1.815 metri) laddove il 28 settembre 1899 morì sugli oltre 2.700 dello Schafberg. A buon diritto alcuni critici ed anche un certo immaginario collettivo lo hanno spesso emblematicamente definito come “il pittore della montagna” anche a se nella sua copiosa produzione (circa 800 tra dipinti e disegni) la montagna vi compare in misura assai relativa: tuttavia, la sua rappresentazione risulta così significativamente interessante che tale appellativo appare del tutto veritiero ed appropriato.

Ma in cosa tutti intravvedono di diverso rispetto ad altri pittori che comunque operarono in montagna e la dipinsero con grande abilità? Se potessi tradurre questa riconosciuta importanza direi, con un’equazione, che: Segantini sta alla letteratura come i suoi quadri stanno alla montagna. Penso, infatti, che i quadri di un pittore siano assimilabili a quello che sono le parole per uno scrittore e ciò vale per Segantini in modo ancor più particolare giacché lui stesso avvertì necessario rendere complementare il suo prodotto artistico accompagnandolo con le parole che il suo pensiero artistico gli dettava.

Con il suo spirito intriso in un panteismo che intravvedeva nella natura la fonte di ogni bellezza e, questa, dell’amore universale, si fece narratore della montagna che aveva imparato a conoscere ed in cui si assimilò vivendovi con l’atteggiamento discreto di chi si sente parte di un mondo in cui è possibile partecipare con l’umiltà di un doveroso rispetto e senza ambizioni di poterlo dominare. La sua pittura si assecondò a dare volto, corpo e sentimento alla montagna e che nei suoi quadri si vede, si tocca e si sente come protagonista dalla presenza – tuttavia – sempre discreta. Con le sue lunghe pennellate, luminose e materiche, la montagna viene ricomposta sulla tela in una trasposizione mistica alla quale Segantini affida il proprio sentimento di bellezza. Fedele al vero, ma non reale, la montagna in Segantini diventa il perfetto strumento per esprimere nella simbologia immagini che focalizzano l’ambiente montano in quegli aspetti che gli suggerivano i suoi occhi ed il suo spirito. Infatti, la sua curiosità per la letteratura che la moglie Bice alimentava leggendo per lui, lo indusse certamente ad elaborare nel proprio inconscio artistico quei segni pittorici che lo resero diverso e famoso. Ecco che Segantini diventa allora il preciso cantore della montagna alla quale attribuisce un aspetto elegiaco attraverso una narrazione pittorica che non è semplicemente visiva, ma reinterpretata all’insegna di un taglio intellettuale che tende a documentare non la rappresentazione del paesaggio, ma la “storia” della vita quotidiana attraverso i suoi simboli, attraverso i suoi valori. Con questa mirata intenzionalità Segantini finisce per assegnare alla montagna una funzione “giustificatrice” subordinata al contenuto del quadro, tant’è vero che senza questa presenza le opere della sua maturità artistica non potrebbero esistere se non come forme inespressive prive di significato e di emozione.

Segantini venne sicuramente stimato ed apprezzato dalla critica, ma il suo successo è stato quello popolare che coglieva d’istinto il pregio del suo messaggio, in quanto il suo linguaggio artistico è esattamente quello con cui la cultura popolare identifica la vita di montagna: la sua idea della montagna è la nostra idea di montagna. Nei suoi quadri ritroviamo la montagna che incanta e che spaventa, che emoziona e che insegna, la montagna dei cieli azzurri e delle tempeste, la montagna che ci fa conoscere la fatica e quella che ci fa sognare. Segantini, il pittore della montagna, queste cose le aveva conosciute e capite e ce le ha mostrate con delicatezza e sentimento, nella loro vera luce.

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Un commento

  1. Bravo Achille, hai un futuro come critico dei rapporti tra l’arte pittorica e la montagna. Avanti il prossimo!

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