Alpinismo

Quando l’alpinismo ha cuore: il decimo 8000 di Marco Confortola

Che la spedizione di Marco Confortola fosse stata un successo lo sapevamo dal giorno in cui aveva fatto ritorno in sicurezza al campo base, dopo aver conquistato il decimo 8000 della sua carriera. La sua però, come ci aveva raccontato prima della partenza per Kathmandu, ad aprile, era un’avventura che andava oltre il risultato alpinistico: “Ci sono momenti in cui si riceve e momenti in cui bisogna anche donare” ci aveva detto.

Marco Confortola con Mario Casanova

Con lui infatti c’era Mario Casanova, alla prima esperienza in alta quota, ed uno sherpa, a cui insegnare i fondamenti della sicurezza in montagna. “Con Mario è stato positivo –  ci racconta – avevo percepito che era una persona che andava bene in quota e così è stato. Del resto sono 40 anni che vive a 3500 metri dato che lui e la sua famiglia gestiscono il Rifugio Mantova. Per quanto riguarda lo sherpa ci sono state più difficoltà: non è stato facile entrare in una testa con una cultura diversa dalla nostra. Qualcosina però siamo riusciti a trasmettergli, come l’andare sempre legati in ghiacciaio”.

La cronaca della spedizione di Confortola al Dhaulagiri non può però prescindere dal complesso soccorso per recuperare sette alpinisti bloccati sulla montagna, un salvataggio estremo che ha visto impegnati l’alpinista, “appeso” all’elicottero, e due piloti italiani, Michele Canovi e Piergiorgio Rosati, al comando del velivolo: “Stavamo smontando il campo base, quando è arrivato un elicottero da cui sono scesi due piloti dell’elisoccorso trentino molto bravi, capaci e che conoscevamo, Pigi e Michele, che mi hanno chiesto se me la sentivo di agganciarmi al baricentrico e tentare di fare questi recuperi”. Cosa lo abbia portato ad accettare, a pochi giorni dall’essere tornato sano e salvo dalla vetta, è presto detto: “Io quelle persone le avevo viste scendendo dalla montagna e così ho pensato che le opzioni erano sono due: o si tentava di aiutarle o le si lasciava lì a morte certa. Mi fidavo dei piloti ed ho deciso di salire”.

Un’operazione di salvataggio molto complessa quella realizzata dai tre, perché a quelle quote, oltre i 7000 metri, non c’è margine di errore ed ognuno deve fare la propria parte in modo perfetto. “È stata un’avventura molto estrema, anche se sono 20 anni che faccio elisoccorso in Lombardia, ma anche una grandissima soddisfazione ed è la prova che in Italia ci sono dei grandi professionisti della montagna e lo dimostra il fatto che a pilotare in Himalaya a quelle quote e con la corda sotto sono solo in tre, tutti italiani”, per poi aggiungere: “Noi italiani abbiamo qualcosa in più”.

Capita spesso che agli alpinisti, ma anche ai soccorritori, venga chiesto il “perché” di quello che fanno, quale sia il senso delle loro scelte, il motivo che li spinge a rischiare la propria vita per salire le montagne o aiutare gli altri. “Tutto quello che fa un alpinista – ci risponde Confortola – lo fa con la passione e con il cuore ed il soccorso che abbiamo fatto è la dimostrazione che questo fa differenza: potevo tranquillamente scegliere di non rischiare, ma ho voluto tentare perché potevamo fare bene e lo abbiamo fatto”.

Marco Confortola in vetta al Dhaulagiri

Un grande risultato, che si è aggiunto a quello dell’aver salito il decimo 8000 e dell’essere anche riuscito a tornare a visitare la scuola che Marco ha inaugurato lo scorso fine febbraio: “Per me è un sogno realizzarla, è veramente una grandissima soddisfazione”.  

Tutto questo è stato il decimo 8000 di Marco Confortola: le gambe, la testa, il cuore.

Ora ne mancano solo quattro, abbiamo cercato di scoprire quale sarà il prossimo: “Per adesso – ci risponde un po’ vago, ridendo – vorrei godere di quello che abbiamo fatto; questo è un momento molto particolare per un alpinista, poi vedremo” ed aggiunge, dopo un po’ di nostra insistenza: “Dipende anche da come gli altri alpinisti si muoveranno, perché mi piacerebbe riuscire a scalare sempre con un italiano ed un amico. Giampaolo Corona ha l’idea del Kanchejunga, Camandona pensa invece al Nanga. Un po’ di amici ci sono, ma in Italia siamo rimasti davvero in pochi a scalare gli 8000: tanti hanno finito, ma altrettanti purtroppo non ci sono più. Però l’idea di proseguire c’è. Non è facile perché bisogna continuare ad allenarsi, tenere duro, avere un buon compromesso tra lavoro, famiglia e passione, ma i 14 8000 sarebbero un bellissimo obiettivo”.

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13 Commenti

  1. Bravo…ma per andare sulla cima del Dhaulagiri dovevi fare ancora un pò di strada…chiedi a chi c’è stato.

  2. Bravo Marco!
    In pochissimi sarebbero stati disposti a rischiare così tanto.
    Doppio successo, agonistico ed umano.

    1. Caspita ! Erano tutti pronti in vetta a vedere e ad aspettarlo…….ma per favore. Quello che ha fatto appeso all’elicottero non lo ha mai fatto nessun altro. Tanto di cappello !

  3. quella NON è la vetta, punto.
    Non c’entra nulla la bravura come soccorritore, la buona fede, BLA BLA.
    QUELLA NON E’ LA VETTA, e non è nemmeno tanto vicina: sono circa 150 metri orizzontali e almeno 10 di dislivello dalla vetta (che è visibile laggiù, rocciosa).
    Confrontatela con altre foto del D

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