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Dolomiti: dopo Siviglia strada in salita

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BERGAMO — Le Dolomiti sono diventate patrimonio dell’Umanità. Ma in realtà, riconoscimenti a parte, cosa cambia per quell’area di 231mila ettari sottesa dallo sbarramento montuoso? Cercheremo di capirlo con questo speciale in cui analizzeremo i vari aspetti e le ricadute sulla politica, l’economia, l’ambiente e le popolazioni locali dopo la decisione di Siviglia.

In questi giorni è stata una pioggia di commenti di soddisfazione da parte del mondo politico italiano. Dagli esponenti di governo a quelli dell’opposizione, tutti esprimono il loro gradimento per una decisione che, oltre a tutelare il patrimonio ambientale di una parte consistente del Nord Italia, significa anche fondi e finanziamenti che possono aiutare l’economia delle zone montane.
 
Per arrivare ai riscontri pratici, prima però, dal punto di vista istituzionale, servono alcuni passaggi fondamentali. Fra cui la creazione della futura Fondazione "Dolomiti – Dolomiten – Dolomites – Dolomitis Unesco Foundation". Ovvero il soggetto unitario di coordinamento fra istituzioni, che si occuperà della gestione delle politiche di conservazione e valorizzazione del Patrimonio Universale.
 
Per realizzarla ci sono solo 18 mesi. Tempo brevissimo per l’elefantiaca macchina burocratica italiana. Entro questo lasso di tempo andrà attivata la Fondazione e stabiliti i piani di gestione dei vari territorio, in base a un piano generale che è già stato elaborato. E già questo scoglio non è da poco. Perchè mettere d’accordo 5 Province, Regioni, Stato, enti locali, istituzioni economiche e finanziarie, lobbies e via dicendo è un cosa oltremodo difficile in Italia, con tempi a dir poco biblici.
 
Restando alla parte istituzionale, l’idea è quella di una fondazione policentrica, con la sede che si sposta di Regione in Regione, di Provincia in Provincia, a seconda di chi avrà la presidenza in quel momento. Operazione accattivante, ma logisticamente tutt’altro che agevole.
 
Analoga formula, potrebbe essere adottata per la struttura. Ovvero, creare una rete policentrica tra osservatori, musei, luoghi di ricerca scientifica e di formazione, accomunati dallo stesso progetto. Questa almeno è l’idea avanzata dalla Provincia autonoma di Trento, per voce del suo assessore Mauro Gilmozzi.
 
Non sarà semplice. E le prima avvisaglie lo dimostrano. Il presidente della Provincia di Belluno Sergio Reolon ha fatto capire ai suoi colleghi che nonostante l’unione faccia la forza, la sua provincia "ha trainato e coordinato la candidatura affermando nei fatti che le Dolomiti per la  gran parte, più del 60 per cento, sono in provincia di Belluno".
 
Un messaggio diretto al presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan e al suo assessore De Bona accusati, neanche tanto velatamente, di aver ostacolato il processo che ha portato all’Unesco. Ma un avvertimento diretto anche ai colleghi delle province vicine, Alto Adige compreso, di cui però Belluno non può fare a meno.
 
Insomma, i soggetti politico-istituzionali coinvolti in questa mega-operazione sono molti e spesso litigiosi. Non sarà facile – anche se è necessario – arrivare alla quadratura del cerchio. E arrivare davanti al World Heritage Committee con una Fondazione unitaria ma variegata, che faccia da soggetto referente unico per il Committee, e sia lo strumento che garantisce la coerenza delle azioni di gestione e il mantenimento dei valori del Patrimonio universale. 
 
 

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