Alpinismo

McKinley, Valseschini e Manni vincono la Cassin

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LECCO — Ce l’hanno fatta Eugenio Manni e Fabio Valseschini. In barba a chi diceva che la via non era in condizioni, che la stagione era finita, che era impossibile arrivare sulla vetta dalla Via Cassin quest’anno. Loro ci sono arrivati venerdì 11 giugno, toccando quota 6.194 metri dopo cinque giorni di scalata sullo spigolo, due dei quali senza cibo. Poi, sono scesi a valle in meno di 24 ore percorrendo i pendii della normale con una slitta improvvisata: la ciliegina sulla torta di uno splendido e storico successo.

Forza, determinazione, abilità tecnica e un pizzico di follia. Questo il mix vincente che da sempre premia nell’alpinismo e che ha permesso ai due alpinisti lecchesi di mettere a segno la terza ripetizione italiana della storica via Cassin, a 48 anni dalla sua apertura.

Valseschini, 39 anni, e Manni, 41, sono partiti lo scorso fine settimana per attaccare la Cassin. Una via che percorre l’imponente spigolo che taglia in due la parete sud della montagna, aperta da Riccardo Cassin e compagni nel 1961, e ancor oggi considerata una delle sfide principe per ogni alpinista. La quota e l’elevato dislivello complessivo ne fanno una salita paragonabile a quelle himalayane, le difficoltà tecniche su roccia e misto e la mancanza di campi attrezzati lo rendono davvero un itinerario per pochi eletti.

C’erano altri pretendenti ai suoi piedi quest’anno. Tutti, però, hanno rinunciato sostenendo che la Cassin fosse impraticabile per le copiose nevicate dell’anno. Ma i lecchesi se ne sono fregati. Hanno "fiutato" la possibilità di farcela, così come solo i grandi alpinisti sanno fare. Sapevano di avere le carte giuste e hanno atteso che il tempo migliorasse per poi sferrare l’attacco in stile alpino: zaini in spalla, con tutto l’occorrente per scalata e bivacchi, e poi via verso la vetta al motto di "Non torneremo finchè non avremo toccato la cima". E così è stato, anche se i problemi non sono mancati.

"A due giorni dalla vetta gli si è bloccato il fornelletto per cucinare – racconta Monica, la moglie di Manni -. Non potevano più mangiare nè preparare nuove bevande. Hanno tenuto duro, ma le energie da spendere lassù sono davvero tante. Stavano quasi per rinunciare quando i ranger del parco hanno deciso di lanciare loro dei rifornimenti con l’elicottero: 2 litri d’acqua e qualcosa da mangiare. E’ bastato perchè riprendessero la scalata".

Chi li conosceva sapeva già come sarebbe andata. Le voci che serpeggiavano in città nei giorni scorsi erano: "se due possono farcela sono loro", anche se tutti avevano il fiato sospeso. Manni e Valseschini sono stati in parete per una settimana. Erano completamente soli sulla via, ed erano in collegamento soltanto con il campo base: le telefonate a casa arrivavano col contagocce. Alla fine, però, una di queste telefonate ha portato la tanto attesa bella notizia.

"Sono arrivati in cima l’11 giugno – racconta ancora la moglie di Manni -. La discesa è stata velocissima: di solito ci vogliono 3 giorni, ma loro ce ne hanno messo uno soltanto perchè, non si è capito bene come, hanno improvvisato delle slitte con cui si sono lanciati giù dalla normale. Al base, poi, sono iniziati i festeggiamenti. Scoppiavano di gioia. L’unica nota dolente è stato l’incidente capitato a due medici americani con cui avevano stretto amicizia. Loro sono saliti dalla West rib il giorno prima di loro e purtroppo sono scomparsi in discesa su un couloir".

In totale, Valseschini e Manni hanno impiegato 5 giorni di scalata, con un giorno di brutto tempo e bufera e un giorno di riposo quando sono rimasti senza cibo. Altri dettagli verranno al loro ritorno in Italia, fissato per il 18 giugno. Ora, spazio all’euforia per la bella salita, che mette un altro sigillo al curriculum da fuoriclasse di Valseschini, temerario "cane sciolto" dell’alpinismo lecchese, celebre per le solitarie invernali sul Badile. E aggiunge un’altra medaglia alla collezione di vie Cassin di Manni, star del gruppo Gamma, che ha già all’attivo le ripetizioni della Nordest del Badile, della Ovest di Lavaredo e delle Grandes Jorasses.

La loro salita riporta senza dubbio alla ribalta l’alpinismo della città di Lecco, che fu culla di tanti grandi nomi dell’alpinismo ma ultimamente, a parte poche eccezioni, sonnecchiava appoggiandosi a personaggi del circondario. Il loro, sinora, è forse il regalo alpinistico più bello che sia stato fatto a Riccardo Cassin nell’anno dei suoi cento anni. E nel contempo omaggia la memoria di Carlo Mauri, fondatore del gruppo Gamma, che progettò quella via con Cassin ma non potè partecipare alla spedizione del 1961 a causa di un incidente sciistico.

Sara Sottocornola

Foto d’archivio

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