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I ghiacciai artificiali di Chewang Norphel

Nel 1987 il mondo, a causa dei processi consumistici globali, era troppo impegnato a erodere le risorse dell’Himalaya  per accorgersi della crisi nascente. Non è stato ugualmente cieco Chewang Norphel, un ingegnere ora in pensione, che in quell’anno iniziò il suo progetto per la costruzione di ghiacciai artificiali.

I ghiacciai naturali, che ricoprivano le pareti dell’Himalaya indiano che erano visibili da tutta la regione del Ladakh, si stavano già ritirando e per questo motivo i villaggi stavano subendo una scarsità d’acqua che Norphel  voleva risolvere: le motivazioni si celano anche nel fatto che, provenendo da una famiglia agricola, conosceva i problemi che gli agricoltori affrontano tutti i giorni e voleva fare la sua parte per risolverli, migliorando anche la salute della regione.

Il Ladakh è abitata prevalentemente da agricoltori (più dell’80% della popolazione) che, oltre ad aver sempre dovuto fare i conti con la mancanza di comunicazioni e specializzazione, hanno dovuto affrontare, a causa del cambiamento climatico, anche il problema della scarsità d’acqua. Questa zona è definita da Norphel come un “deserto freddo”ed  è prevalentemente arida: infatti trae le sue risorse idriche dai ghiacciai o dalle nevicate. Con il global warming però le condizioni sono chiaramente peggiorate e l’equilibrio che ha permesso l’attività agricola per tanti anni è stato rotto.

Nel 1987 Norphel, osservando fuori dalla finestra di casa, vide che l’acqua che scendeva da un rubinetto, che non poteva essere chiuso per il rischio che si rompessero i tubi, aveva formato un sottile strato di ghiaccio mentre il fiume, poco più in là, continuava a fluire. Non ci vollero di certo i suoi studi per capire che la differenza tra le due situazioni era la rapidità con cui l’acqua scorreva: abbassando la velocità questa ghiacciava. Da questa riflessione piuttosto semplice sono nati i ghiacciai artificiali di Norphel: l’idea consiste nel recuperare l’acqua che non viene utilizzata immediatamente, che proviene dallo scioglimento dei ghiaccia naturali, attraverso dei piccoli canali di scolo che terminano in aree di raccolta. Questi sono interrotti da piccole chiuse di controllo che rallentano la discesa dell’acqua, sotto a degli alberi che creano ombra e il più possibile vicino ai villaggi.

Il primo ghiacciaio artificiale fu realizzato nel 1987 vicino al villaggio di Phuktsey, nel 2012 erano già 12 quelli completati. Con altri tre impianti in costruzione, oggi questi 15 ghiacciai sono la fonte primaria che suopporta i villaggi nella regione del Ladakh. All’inizio fu difficile perchè essendo una cosa nuova nemmeno il governo era disposto a collaborare, Norphel allora convinse la popolazione stessa che era l’unica soluzione possibile. Alla fine furono loro che lavorarono come volontari.

Oltre ad essere conveniente economicamente rispetto ad altri sistemi e ad aver contribuito alla proliferazione di alberi, l’utilizzo di questi ghiacciai artificiali, che sopperiscono alla scarsità di acqua, permette, grazie al fatto di avere risorse idriche disponibili anche in altri periodi dell’anno, di ampliare le colture coltivate nella regione del Ladakh, comprendendo anche prodotti che vantano margini di guadagno migliori.

Norphel ha ricevuto molti premi per questo suo progetto come il Jamnalal Bajaj Award nel 2010 e il Padma Shri nel 2015. È stato girato anche un documentario, intitolato “The White Knight”, che racconta la sua storia e ha ricevuto il “titolo” di “Ice Man of India” da molte pubblicazioni internazionali, come il Time.

Nonostante tutto però il futuro dei ghiacciai artificiali è incerto perché, secondo Norphel,  “quando avevo le energie mancavano i fondi, ma ora che ricevo finanziamenti anche da parti inaspettate del mondo non ho più la forza per portare avanti il progetto. Sto ancora cercando di istruire la gente per continuare a mantenere i ghiaccia esistenti e crearne di nuovi, ma il richiamo dell’industria del turismo, più veloce e redditizia, è molto forte, soprattutto per i giovani. Al contrario l’impegno per le necessità ambientali è sempre meno condiviso. Il turismo non può sostenere il mondo, lo può fare l’agricoltura. Tutto il mondo dipende dall’agricoltura e l’agricoltura dipende dall’ambiente. Se non ci preoccupiamo per esso, potremmo ritrovarci senza nulla”.

 

 

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