Alpinismo

Everest d’oro: la Cina aumenta i prezzi

Una volta c’era il tempo delle spedizioni nazionali, quelle per le quali un Club Alpino di un paese, come Francia, Austria, Inghilterra o Italia, ambiva a “conquistare” e mettere nel proprio palmares un ottomila o comunque una montagna di grande prestigio tecnico alpinistico. Everest, Annapurna e K2 sono la raffigurazione plastica di questo tipo di spedizioni.
Servivano risorse economiche importanti per coprire i costi della logistica e dell’attrezzatura, le quali venivano reperite con sottoscrizioni o contributi pubblici e privati. I permessi venivano concessi dal Nepal, Pakistan o Cina senza esborsi particolari di denaro.

Poi questi paesi per far fronte alle sempre maggiori richieste e ai costi organizzativi della loro burocrazia, ma anche per creare profitto da una importante opportunità economica, scrissero regolamenti e applicarono royalty, che andarono sempre più aumentando, in particolare per l’Everest, anche con l’alibi di disincentivare, per questioni ambientali, la massiccia presenza e l’inquinamento su queste montagne. I permessi richiesti, concessi e pagati 11.000 USD a persona sono però divenuti sempre più numerosi, fino a raggiungere i 3/400 a stagione.
Oggi apprendiamo che i cinesi, alcuni anni fa avremmo scritto i tibetani, hanno aumentato il costo dei loro permessi: da 9.500 USD a 19.500 USD a persona per salire l’Everest. Shisha Pagma, Cho Oyu e altri ottomila tibetani sono passati da 7.650 USD a 12.600 USD. Bell’aumento!

I nepalesi sono stabili a 11.000 USD per l’Everest e a 1.800 USD per gli altri loro 7 ottomila, che in buona parte sono condivisi anche con la Cina, essendo le vette confine dei due paesi. C’è però da giurarci che anche i nepalesi adegueranno presto le tariffe. I meno cari rimangono i pakistani con i loro 5 ottomila, tra i quali il K2, il cui permesso di salita costa 7.200 USD per 7 persone, 5.400 per gli altri 4 ottomila. 
Sono anni che i Cinesi usano l’Everest per propaganda e da tempo stanno investendo in infrastrutture a ridosso dell’Himalaya. Conoscono il valore del turismo e vogliono sfruttarlo fino in fondo.

L’annunciata costruzione di un villaggio turistico a qualche decina di chilometri dall’Everest, il programmato cablaggio per far arrivare la connessione ad alta velocità anche nelle valli più remote dell’Himalaya e le strade che penetrano sempre più verso i campi base sono il segno della scelta cinese di sviluppare i confini dell’impero traendone anche benefici economici e d’immagine. La ideata ferrovia trans-himalayana, che attraverserà la catena da nord a sud, ed il corridoio economico cino- pakistano che dal Sinkiang cinese porterà, attraverso una nuova autostrada, fina all’oceano indiano attraversando il Karakorum, non sono sogni, ma progetti in corso di realizzazione con colossali investimenti cinesi.

Dunque il turismo e l’alpinismo, come sua espressione di punta, sono elementi di queste strategie economiche.
C’è da pensare che il costo dei permessi ridurrà, forse, la “domanda” di ottomila, soprattutto commerciali, ma l’impressione è che alle agenzie internazionali europee, americane o australiane, sempre più si sostituiranno agenzie locali, in Nepal è in buona sostanza già così, che riusciranno a spuntare prezzi più appetibili. E ai loro clienti, alpinisti o turisti d’alta quota che siano, poco importa chi organizza. È il prezzo a quel punto che fa il mercato.
Ai romantici e malinconici estimatori di “spedizioni” tra alpinisti amici, rimane ormai poco tempo e poche occasioni.

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