Gente di montagna

Afsaneh Hesamifard: un’alpinista iraniana sale i 14 “ottomila”. Senza velo

Il 14 ottobre, sul Cho Oyu, la dottoressa nata nel Nord-est del Paese è stata la prima iraniana a completare la collezione degli “ottomila”. Nelle foto che compaiono sul web, non indossa mai il velo. Il suo alpinismo è un segno di speranza

Trentanove anni fa, nel 1986, Reinhold Messner diventava sul Lhotse il primo alpinista ad aver salito tutti i 14 “ottomila” dell’Himalaya e del Karakorum. Oggi la lista dei collezionisti si è allungata fino a 75 nomi, e comprende una decina di donne. Ma la storia di Afsaneh Hesamifard, che ha spuntato l’ultima vetta dalla lista il 14 ottobre scorso sul Cho Oyu, merita di essere raccontata. 

Il motivo è evidente. Afsaneh, che ha 48 anni, è una donna, e viene da un Paese dove quello che una volta si chiamava “il gentil sesso” vive in una condizione difficile. Anche se devono coprirsi il volto con il chador, però, le donne iraniane hanno accesso a tutte le professioni.    

La signora Hesamifard, nata nel 1976 a Sabzevar, nel nord-est del Paese, nella provincia del Nord Khorasan e non lontano dal confine tra l’Iran e il Turkmenistan, si è laureata in medicina nell’università di Mashhad. 

Sul suo profilo Instagram, racconta di essere specializzata in medicina dello sport, ma si presenta come un’alpinista professionista, sponsorizzata da due aziende farmaceutiche iraniane. Il sito dell’ONU la presenta come “componente della missione permanente della Repubblica Islamica dell’Iran presso l’ufficio delle Nazioni Unite e presso altre organizzazioni internazionali a Ginevra”. 

Afsaneh ha scoperto l’alpinismo a 23 anni, quando era ancora studentessa, e l’alta quota nel 2019 sul Pik Lenin. Due anni dopo ha tentato per la prima volta un “ottomila”, il Manaslu. Si è fermata più in basso della cima, ma nel 2024 ha raggiunto anche il punto più alto. 

Il suo anno d’oro è stato il 2022, quando in primavera ha raggiunto gli 8848 metri dell’Everest, e qualche mese dopo si è ripetuta sugli 8611 metri del K2. Due imprese che l’hanno fatta diventare famosa in patria, e comparire sulle pagine del quotidiano in lingua inglese Tehran Times, e nei comunicati in farsi, inglese e francese dell’agenzia ufficiale IRNA.    

Per l’intera collezione Afsaneh Hesamifard ha impiegato tre anni e mezzo. Quando Chhang Dawa Sherpa, responsabile della Seven Summit Treks, ha annunciato il suo successo sul Cho Oyu, Afsaneh era al terzo “ottomila” dell’anno, perché nel 2025 aveva già salito il Kangchenjunga e il Dhaulagiri. 

Qualche settimana fa, la dottoressa di Sabzevar ha scritto sui social di avere “imparato che avere un obiettivo, una speranza, un progetto è un modo di vivere. Ci sono ancora molte vette da salire, sia dentro sia fuori da me”. 

Chi segue i comunicati della Seven Summit Treks e delle altre agenzie nepalesi e pakistane, scopre che ogni anno molti alpinisti dell’Iran salgono le cime più elevate dalla Terra. Il Paese d’altronde è in buona parte montuoso – sono celebri il Damavand, un vulcano di 5610 metri, e l’Alam Kuh con le sue pareti rocciose – e dove la pratica dell’escursionismo e dell’alpinismo è molto diffusa.   

Anche oggi, su molti siti incluso Wikipedia, Azim Gheichisaz, 43 anni, di Tabriz, viene indicato come il primo iraniano ad aver salito i 14 “ottomila”. Anche se Gheicisaz ha compiuto le sue salite senza ossigeno (che invece Hasamifard ha usato), però, anche lui si è fermato prima della vera vetta del Manaslu, e non rientra quindi nell’elenco ufficiale. 

C’è un’ultima cosa da notare. In tutte le sue foto e i suoi video di vetta, ma anche in quelli realizzati in fondovalle, Afsaneh Hasamifard compare senza velo. Il suo alpinismo, e le sue salire agli “ottomila”, sono un segno disperanza per tutte le donne dell’Iran. 

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