Storia dell'alpinismo

La conquista della nord dell’Eiger (3)

harrer heckmaier conquista nord eiger montagna alpi

documentprint mail-to

Un’altra notte è trascorsa sulla nord. Tranquilla, seppure scomoda. Harrer ricorda di aver sognato quella notte, ma anche di essersi svegliato di soprassalto e di essersi ritrovato appeso alla corda, sul baratro, con tutto il peso.

Alle quattro iniziano le manovre di preparazione della colazione e alle sette tutti e quattro gli alpinisti sono pronti all’azione. Si riparte dunque, con Heckmair sempre in testa alla cordata.

Attacca subito il camino, che non sembra in condizione migliori della giornata precedente. Ma almeno la cascata d’acqua che vi scorreva, oggi si è tramutata in una crosta di ghiaccio. Per evitarlo il tedesco attacca le roccie strapiombanti da parte al colatoio.

Ma quelle rocce, che sembravano più stabili e sicure rispetto al centro del canale, gli regalano un volo fino alla base della salita. Il problema è così risolto forzando il passaggio di ghiaccio. Passaggio nel quale Heckmair, aiutato dai suoi famosi ramponi a dodici punte, attrezzatura rarissima per quei tempi, da sfoggio a tutta la sua tecnica ed eleganza. E in poco tempo uno dei tanti passaggi impegnativi dell’Eiger è superato.

Issato Vorg, tocca ora a Kasparek. I quattro procedono infatti in due cordate separate. E anche l’austriaco non è da meno. Riesce a trovare una via di salita a metà strada tra la roccia ed il ghiaccio e, poco dopo, tutti insieme, gli alpinisti si trovano ad ammirare con preoccupazione l’ostacolo successivo.

La rampa è infatti ostruita da un colosso di ghiaccio strapiombante alto una decina di metri. Qualche istante per consultarsi e poi la decisione. Non c’è altro modo, bisogna salire diretti nel centro. Detto fatto, Heckmair parte di slancio ed è uno spettacolo di manovre una dopo l’altra.

Ma proprio sul più bello, nel punto in cui l’infido passaggio regala la prominenza dello strapiombo, un altro volo. Che riporta il tedesco alcuni metri più in basso.

E come prima la reazione è veemente. Di slancio è di nuovo sotto alla pancia di ghiaccio e, con tenacia, millimetro per millimetro, tacca dopo tacca, riesce a piantare un chiodo sopra lo strapiombo e a far passare la corda. Issato così da Vorg, in un attimo è sopra il passaggio e, dopo essersi assicurato, è pronto a far salire il compagno.

E qui avviene la fusione tra i quattro alpinisti. Vorg lascia cadere la corda dall’alto e Kasparek non esita a prenderla iniziando a salire. Certo, anche i due austriaci avrebbero superato lo strapiombo da soli, ma perdendo del tempo prezioso. Tempo che avrebbero poi potuto rimpiangere più sopra. Non si sa quante incognite nasconda ancora la "nord".

Poco sopra il passaggio inizia quella che viene chiamata la "traversata degli Dei". In principio è una cresta rocciosa molto frastagliata e impegnativa, poi una cengia quasi invisibile sotto ad un muro strapiombante che termina in una fessura, unico punto di passaggio verso l’alto. Trenta metri di roccia verticale che richiedono ai quattro uno sforzo immane.

Ma anche questa viene superata e la traversata verso "il ragno bianco" può proseguire. Roccia stratificata in orizzontale, placche nevose profonde e sicure, nelle quali si possono piantare chiodi che tengono. Il tutto condito da un panorama mozzafiato. Questo è senza dubbio uno dei passaggi più soddisfacenti dell’intera ascensione.

Ma, come tutte le cose belle che prima o poi hanno termine, anche il tempo sulla nord dell’Eiger ha deciso di comportarsi come suo solito. Il cielo si fa nero di colpo e le nubi si addensano minacciose attorno ai quattro. Che intanto giungono al nevaio.

Il "ragno bianco" è un insieme di lingue di neve, aggrappate alla parete, che in alto porta alle ultime fessure che sbucano sulla vetta. Una trappola mortale quando infuria la bufera. Slavine e scariche di pietra lo battono interamente precipitando verso la zona del "bivacco della morte", più in basso. Ancora i quattro non lo sanno, ma lo sperimenteranno presto.

La bufera infuria attorno alle loro teste, e la visibilità è ridottissima, tanto che Harrer vede la corda che lo unisce a Kasparek scomparire nella nebbia. I tedeschi sono poco più sopra quando all’urlo del vento e agli scoppi dei tuoni si sostuisce un rumore nuovo. Quello della valanga.

Un istante soltanto, ma sufficiente ad Harrer per tirarsi lo zaino sulla testa, aggrapparsi al chiodo d’assicurazione e tenere tesa la corda che lo unisce al compagno. La massa di neve, ghiaccio e pietre giunge in tutta la sua sconvolgente potenza.

Le pietre rimbalzano sullo zaino e la polvere fa mancare il respiro. La pressione è insopportabile. Il pensiero, lucido nonostante tutto, è per Kasparek. Verrà trascinato via? E i tedeschi? Saranno al riparo?

Ma pian piano la pressione va scemando e la scarica, così com’era venuta termina. Nemmeno il tempo di prendere fiato che un altro boato ne avverte una seconda. E in una frazione di secondo ancora una volta Harrer è sommerso dalla furia della montagna.

Attimi infiniti, tragici. La tenacia e la volontà di sopravvivere ad ogni costo sono gli elementi predominanti. Fino a che termina anche questa. E, miracolosamente, l’austriaco si ritrova incolume. Con la corda che lo unisce a Kasparek ancora ben tesa.

E’ il momento delle grida di richiamo. E tutti rispondono. Miracolosamente sono tutti salvi. Kasparek si è salvato assicurandosi ad un chiodo pochi istanti prima della scarica. Lo ha protetto con la mano, che è ferita e sanguinante, ma è ancora li aggrappato, salvo.

I tedeschi erano poco più sopra e anche loro sono stati presi in pieno. Ma, a differenza dei compagni, non hanno avuto modo di piantare chiodi. Non ne avevano più, li aveva tutti Harrer, che da ultimo di cordata li stava recuperando.

Heckmair si teneva alla piccozza, restando appiattito il più possibile contro il pendio. E con la mano libera teneva Vorg per il bavero, che era appena sotto in posizione più esposta. Un gesto al limite dell’eroismo.

Sono le sei e quarantacinque quando i quattro sono di nuovo tutti insieme, al margine superiore del ragno. La decisione è di continuare e salire, anche perchè di posti per bivaccare, li non ce ne sono. Alle nove torna il maltempo, proprio mentre gli alpinisti giungono ad una piccolissima cengia, parecchio sopra al "ragno", al riparo dalle scariche.

Sarà questo il posto per il terzo bivacco. Ma per tutti non c’è posto, e Harrer e Kasparek sono costretti a sistemarsi più in la. Una corda li unirà ai compagni, e attraverso di essa, si scambieranno l’occorrente per la cena.

Lo spazio è angusto, posti per sedere non ce ne sono, e i due sono costretti a lavorare di ingegno. Fissano gli zaini, svuotati, a due chiodi, e si sistemano con i piedi dentro di essi. Il sistema funziona a meraviglia!

Nemmeno i tedeschi se la passano meglio. Heckmair è costretto a tenere i ramponi ai piedi per non perdere la presa, e Vorg può soltanto appoggiare la testa sulla sua schiena, non avendo altro spazio. Ma, seppure in un modo che ai più potrà risultare inconcepibile, la notte trascorre tranquilla, e i quattro riescono anche a riposare, dormendo a tratti.

Il tempo rimane brutto, nevica a tratti e la parete è continuamente avvolta dalle nubi. Ma questo, almeno per ora, non è un problema. E l’indomani sarà, forse, la giornata decisiva. 

 
 
Massimiliano Meroni

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close