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Lo splendore di Kathmandu e il garage degli Sherpa

Seconda puntata dello Speciale "Everest 1953"

Oggi viaggiare dall’Europa fino alla base dell’Everest è breve. Una dozzina di ore in aereo per Kathmandu, il breve volo per Lukla, poi cinque, sei o sette giorni per un sentiero frequentato e ben tenuto. Per chi parte dall’America il viaggio è di qualche ora più lungo. Per gli alpinisti del 1953, molti dei quali sono arrivati in India via mare, la camminata inizia prima del confine del Nepal, e richiede più di un mese. Prima di incamminarsi verso il Khumbu, britannici e neozelandesi visitano una Kathmandu ancora medievale, dove le auto sono rare, e i vestiti all’occidentale sconosciuti. Nella capitale si uniscono alla comitiva Tenzing e una parte degli Sherpa che lavoreranno ad alta quota. L’atteggiamento razzista dell’ambasciatore Summerhayes e del suo staff, e la risposta tutt’altro che elegante degli Sherpa, rischiano di bloccare l’impresa già prima dell’inizio del trekking.

Anche i diplomatici sbagliano, e gli Sherpa sanno arrabbiarsi davvero. Alla fine di febbraio del 1953 Christopher Summerhayes, rappresentante di Sua Maestà Britannica a Kathmandu, apre le porte della sua ambasciata alla spedizione che sta per tentare l’Everest. Gli alpinisti e gli altri membri del gruppo non arrivano tutti insieme. Il capospedizione John Hunt arriva in aereo il 3 marzo insieme a Tom Bourdillon, alpinista e responsabile dei respiratori e delle bombole. Il traballante DC3 che collega due volte alla settimana la capitale del Nepal con la città indiana di Patna sorvola la pianura del Terai, scavalca un crinale boscoso, poi scende in direzione di Kathmandu. Dai finestrini, scrive Hunt, “la catena dell’alto Himalaya si allunga davanti ai nostri occhi in tutta la sua lunghezza. Miglia su miglia di cime lontane formavano come un fondale merlettato, d’un biancore accecante. Innumerevoli vette si distinguevano tra il massiccio dell’Annapurna – la più alta montagna fino a ora scalata – e l’Everest, contro il quale stava per essere lanciato il nostro assalto”.

La maggioranza degli alpinisti, è ancora John Hunt a ricordarlo, arriva con un viaggio molto più lungo e scomodo. Da Bombay, dove ha attraccato il piroscafo Stratheden, “una lunga serie di tappe polverose, prima in treno e poi a bordo di un camion, appollaiati in cima ai nostri bagagli” li porta verso la frontiera nepalese. Gli ultimi 25 chilometri fino alla città di frontiera di Raxaul vengono percorsi a piedi, in una calura opprimente. Gli uomini che compiono il viaggio via terra si devono anche occupare dei bagagli, 437 colli per complessive sette tonnellate e mezzo di peso. Oltre la frontiera con il Nepal, gli alpinisti viaggiano ancora in camion lungo una strada in costruzione, poi arrivano nella capitale a piedi, scavalcando le alture dei Siwalik, in un clima più fresco. I bagagli, in questo tratto, viaggiano su una teleferica. Alla fine della sfacchinata attende la città di Kathmandu che, come scrive James Morris, l’inviato del Times, “offre uno spettacolo splendido, e autenticamente esotico”.  “La valle che la circonda è di un verde abbagliante, con macchie di giallo e di rosso a segnalare le coltivazioni di qualche vegetale improbabile”. “Contro a questo sfondo celestiale è Kathmandu, un complesso di torri, templi e palazzi avvolta in un’atmosfera di follia”.

Le poche auto e i pochi camion di Kathmandu sono arrivati a pezzi, e rimontati in città, spiega Morris. L’ambasciata britannica è un’oasi di verde e di pace, e consente agli alpinisti di rilassarsi. Purtroppo per Summerhayes e per i suoi successori l’edificio, nel 1947, è stato ceduto all’India indipendente. Qualche mese più tardi l’Union Jack verrà ammainata anche qui, e i diplomatici di Londra si trasferiranno in una sede più modesta. Il 4 marzo, insieme all’altro neozelandese George Lowe, arriva all’ambasciata britannica Edmund Hillary. Quando ha saputo che Eric Shipton, compagno di due spedizioni e amico, era stato scartato per far posto a John Hunt, l’apicultore di Auckland aveva pensato a rinunciare. Poi, nel giardino della sede diplomatica, si vede venire incontro un uomo “allenato, biondo, con un sorriso amichevole e una mano allungata per stringere la mia” e la diffidenza si scioglie. Nelle settimane successive, l’amicizia tra Hillary e Hunt contribuirà al successo dell’impresa.

Le cose cambiano, e molto, quando arrivano a Kathmandu gli Sherpa. Tenzing Norgay, che affronta l’Everest per la settima volta, ha avuto dall’Alpine Club e dalla Royal Geographical Society l’incarico di arruolare venti portatori d’alta quota. Lo ha fatto scegliendo due suoi nipoti, Gombu e Topgay, e alcune “tigri” che si sono formate come lui nelle spedizioni degli anni Trenta. John Hunt scriverà con entusiasmo del “solenne ed enigmatico Da Namgyal”, del “gaio, vivace e robusto Annullu”, di suo fratello Da Tensing, “sulla quarantina”, con già “tutta la dignità, la cortesia e il fascino degli anziani della sua razza”. Nel 1952, partecipando alla spedizione svizzera e sfiorando la cima dell’Everest insieme a Raymond Lambert, Tenzing ha raggiunto uno status differente da quello degli altri Sherpa, ed è stato trattato come un alpinista pari agli altri. A Darjeeling, prima di partire, il futuro conquistatore dell’Everest riflette sull’atteggiamento ben diverso degli inglesi.

“Non ho nulla contro di loro, ma avrei preferito tornare all’Everest con gli svizzeri” racconterà nell’autobiografia Man of Everest, scritta a due mani con James Ramsey Ullmann, un giornalista di New York. “Gli inglesi sono più formali di molti altri popoli che ho incontrato, soprattutto con chi è di una razza diversa. Non so se sia nella loro natura, o perché hanno governato a lungo l’Oriente” prosegue. Gli Sherpa che vivono nel Khumbu attendono la spedizione a Namche Bazaar. Quelli che vivono a Darjeeling, come Tenzing, raggiungono la capitale del Nepal al termine di un lungo viaggio in bus, in treno e a piedi, e molti di loro sono accompagnati da mogli e fidanzate. “Eravamo un gruppo colorato, con capi di abbigliamento provenienti da tante spedizioni precedenti” sorride lo Sherpa. All’ambasciata britannica di Kathmandu, però, i sorrisi svaniscono. A Tenzing, in omaggio alla sua fama, viene offerta una stanza uguale a quella degli alpinisti bianchi. Gli altri vengono fatti accomodare per terra in un garage, che non dispone nemmeno di un bagno. Quando vedono questa sistemazione gli Sherpa protestano a gran voce, e Tenzing rinuncia alla camera per condividere la scomoda notte degli altri.

Non finisce così. L’indomani lo staff dell’ambasciata scopre che i portatori, per protesta, hanno fatto i loro bisogni davanti al garage, sul vialetto che traversa il bellissimo prato all’inglese. Come se non bastasse la notizia arriva alla stampa inglese, nepalese e indiana, e il capospedizione John Hunt e l’ambasciatore Summerhayes devono affrontare critiche e proteste. “Prima e dopo aver salito l’Everest, ho scoperto che la stampa può far salire un uomo in alto, e poi farlo cadere molto in basso” scriverà Tenzing in Man of Everest. Intanto, per evitare altri scontri, gli alpinisti e gli Sherpa vengono trasferiti Bhaktapur, al margine della valle di Kathmandu. Da lì, il 10 marzo, inizierà il vero avvicinamento all’Everest.

Da Londra e Auckland verso il Khumbu

La maggioranza degli alpinisti si imbarca il 12 febbraio 1953 nel porto di Tilbury, alle porte di Londra, sul piroscafo Stratheden che fa rotta per il Canale di Suez e Bombay. Evans e Gregory partono in aereo da Londra e arrivano a Kathmandu per primi. Hillary e Lowe viaggiano dalla Nuova Zelanda. Hunt, Pugh e Bourdillon devono completare i preparativi in patria, e arrivano in Nepal per ultimi. Il colonnello, però, non ha dubbi. Anche se un biglietto per il piroscafo costa meno, il vero motivo per preferirlo all’aereo è che “la vita sulla nave ci darà una possibilità ulteriore per diventare una squadra in condizioni ideali, senza scomodità, fretta o stress”. Anche il trekking da Kathmandu al Khumbu, per John Hunt, è un’occasione per proseguire con quello che oggi chiamiamo team-building. Quando, durante una tappa, Tom Bourdillon gli confida “che gruppo felice sei riuscito a mettere insieme!” il colonnello tocca il cielo con un dito.

“La tristezza degli alpinisti che erano stati in spedizione con Shipton era stata messa da parte, e stavamo diventando un gruppo unito e soddisfatto, anche se eravamo il doppio del team che Eric avrebbe voluto” annota Hunt. “Tutti noi preferivamo arrampicare con dei piccoli gruppi di amici. Ma questa non era un’ascensione normale. In quel momento, l’Everest era più di una montagna. Quando il team di John Hunt raggiunge il Nepal, in realtà, nascono subito dei problemi. Mentre i membri britannici e neozelandesi della spedizione, con Tenzing, sono ospitati nelle stanze dell’Ambasciata del Regno Unito a Kathmandu, gli altri Sherpa devono dormire nel garage, privo di gabinetti e utilizzato fino a poco prima come stalla. Gli sherpa si arrabbiano, chiedono a Tenzing di protestare a nome loro, la mattina utilizzano come gabinetto la strada davanti al garage. Lo staff dell’Ambasciata si infuria, e quando la storia arriva ai giornalisti anche Hunt perde le staffe. “Alla fine gli Sherpa hanno ricevuto una predica, ma non credo che l’abbiano ascoltata con attenzione” annota Tenzing.

Qui la prima puntata. 

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