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L’anima montanara di Francesco Guccini

Francesco Guccini è un colosso della musica che tutti conosciamo, ma di cui spesso ignoriamo l’anima montanara.

Lui sta a Pavana, frazione di Sambuca Pistoiese, e io lo sto raggiungendo a piedi seguendo la via porrettana. Il primo treno utile da Porretta per Sambuca era tra un’ora e non mi va di aspettare. Arrivo a Pavana che ha appena iniziato a piovere e spero di trovare presto la sua casa. Francesco non abita come tanti in una villa con piscina ma, nella vecchia casa dei nonni. Uno di quegli edifici con le finestre piccole e i muri spessi, tipici delle montagne fredde.

Quando arrivo lo trovo al tavolo della cucina intento a leggere le notizie della giornata. “Venga, venga” mi urla quando mi affaccio alla porta d’ingresso, e così inizia il nostro dialogare senza barriere.

Guccini torna indietro con la mente, e per farlo si aiuta con una sigaretta, ricorda gli anni bolognesi e poi i suoi monti. “Queste qui sono montagne miste, sono in parte emiliane e in parte toscane come cultura. Abbiamo una parlata emiliana toscanizzata volendo.” Fa una pausa, troppi ricordi da ordinare, poi ricomincia: “Un tempo però erano diverse. Con l’arrivo degli anni ’60 è sparito tutto, il boom economico ha ucciso l’agricoltura di sopravvivenza e così, oggi, non rimane quasi più nulla della cultura montanara. C’erano castagneti e pascoli sulle alture, tutto subissato dal bosco incolto e selvaggio”.

Ma cos’è successo a quest’Appennino nel corso degli anni? “La popolazione è scemata. Pensi che in un censimento del 1911 il comune di Sambuca contava più di 7000 abitanti, oggi sono 1400 scarsi. Abbiamo frazioni che d’inverno sono completamente disabitate, altre dove ne rimangono dieci o dodici in totale. Sono stati attirati dalla pianura”. Nel frattempo si alza, va cercando il pacchetto di sigarette nel marasma di materiali che tiene sul tavolo. “Io sono venuto tardi quassù”, dice con nostalgia mentre torna a sedersi, “perché alla mia età non posso più fare le cose che facevo o che mi sarebbe piaciuto fare. Nel cuore sono sempre stato un montanaro, d’Appennino però. Il lavoro, non riuscivo a concedermi più di un mese all’anno qui”. Quassù, in questo borgo dove tutti conoscono Francesco Guccini e sanno dove abita, dove arrivano le comitive per salutare e conoscere il loro idolo e lui non scappa mica. Li saluta tutti, uno ad uno, ed è dispiaciuto che oggi stiano diminuendo questi incontri.

È difficile raccontare la montagna che ho vissuto io da ragazzo”, esclama all’improvviso, “c’era un coetaneo che mi raccontava di quando di là da l’acqua veniva fino a qui a Pavana a piedi e con la neve alta. Lo faceva per andare a scuola. Oggi è impensabile. Poi ognuno di noi doveva portare un pezzo di legna per scaldarci, non c’era il riscaldamento, prova ora a dire di portare un pezzo di legna a scuola”. “Oggi fanno portare la carta igienica”, ribatto, lui annuisce e ride mentre un’altra sigaretta sta per essere fumata.

E oggi, le piace la montagna di oggi?”, chiedo in conclusione del nostro piacevole incontro. “Oddio, certo che mi piace. Oggi in montagna c’è l’acqua corrente e il riscaldamento. La vita è molto più comoda. Ricordo che i miei nonni avevano solo una stufa economica con cui scaldavano la cucina e basta. In camera da letto a volte l’acqua nella brocca era congelata la mattina. C’erano dei geli d’inverno che si moriva“.

Lascio il Barbera che mi han consigliato di portare, Francesco ringrazia per il vino ma c’è ancora una domanda che voglio fare. Mi basta dire una parola, “romanticismo”, e Guccini sa già cosa voglio sentirmi dire: “Bisogna esserci cresciuto in montagna, bisogna viverci per sapere che la montagna non ha nulla a che fare con il romanticismo. Qui in montagna un tempo la gente viveva con un pugno di castagne e qualche patata. C’erano miserie nere dove tutto veniva risparmiato, dove tutto era contato”. Oggi per fortuna o per sfortuna non è più così ma, nella mente del cantautore, c’è ancora un ricordo romantico della sua montagna: “La sera di natale, quando si mangiavano le cose buone che non si mangiavano per tutto l’anno. Oggi invece sono andato al ristorante e ho mangiato i tortellini che un tempo mangiavo solo a Natale“.

Lascio questo paese di cantastorie, castagne e mulini. C’è una ferrovia a binario singolo che mi aspetta per riportarmi alla città.

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Un commento

  1. Se vuole godersela ancora a lungo e riabituarsi all’aria genuina, meglio lasci stare l’eterna sigaretta…”alla mia et’à non possopiù…”..non e’ solo questione di età ma anche di stile di vita.Ne ho conosciuto che oltre gli 80 si facevano con calma tutta la Marcialonga.E’ ancora in tempo per smettere e ne avrà beneficio se saprà attendere.

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