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Amore, passione e morte sulla Gran Becca

Gérard Ottavio, 40 anni, e Joel Déanoz, 36 anni. Morti ancora due super esperti: una guida alpina, presidente delle guide del Cervino, e il suo compagno di cordata altrettanto bravo.

Una giornata meteorologicamente favorevole e una via difficile come la Deffeyes, poco ripetuta e complessa, sulla Gran Becca, così chiamano ancora il Cervino in Valtournenche.

Le belle vie per il proprio piacere, per la gran passione che brucia dentro, si fanno a fine stagione, quando d’estate si è guadagnato il pane per la famiglia.  Lucio Trucco, direttore del soccorso alpino della valle, si dà le spiegazioni semplici, ma inequivocabili, che in questi casi lasciano rassegnati ancor prima che perplessi: “Una scarica di sassi, o forse un appiglio che si è staccato”. Poi il volo. A valle non rimaneva che registrare il mancato rientro che come dice Trucco: “Se si tratta di neofiti puoi sperare che si siano persi, inguaiati, che si siano fermati ad aspettare i soccorsi; con due professionisti com’erano Gerard e Joel è il segno che è accaduto qualcosa grave”. Ma la speranza è l’ultima a morire. Poi l’implacabile ritrovamento dei corpi non ha lascito più dubbi.  Quante volte in questi villaggi alpini la morte ha bussato alla porta dei famigliari di guide alpine e bravi alpinisti. Tantissime, ma dire troppe significherebbe delegittimare una professione “nobile” certamente utile, per dirla come Guido Rey, che sta facendo uno sforzo formidabile per garantire alle montagne, alla gente di montagna ed agli appassionati la possibilità di godere con sicurezza delle formidabili sensazioni positive che si provano nel salire in vetta ad una montagna, nel superrare una difficile parete. Certo la gravità non la batte nessuno, almeno fino ad ora.

Hervé Barmasse, figlio d’arte alpinistica, è un profondo conoscitore del Cervino e non solo, con Gérad aveva passato un recente capodanno sulla Gran Becca; c’è commozione e rimpianto nelle sue dichiarazioni alla stampa per la perdita dei due amici, per il dolore di fronte al loro destino inaspettato, ma che tutti gli alpinisti sanno possibile. Una scarica di sassi nel posto e momento sbagliati, un appiglio che tradisce. Ancora un funerale, l’ennesimo per un alpinista e una guida alpina, nell’autunno delle valli aostane, con il cielo azzurro, i colori fiammeggianti dei boschi e la prima neve sulle cime.

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6 Commenti

  1. Con tutto il rispetto che si deve, in questi momenti, per tragedie come quella accaduta, resta tuttavia l’amarezza per la parzialità dell’informazione, sia dovuta alla ritrosia verbale delle guide intervistate e sia alla poca professionalità giornalistica. I due alpinisti progredivano in conserva corta su zone esposte e, pur dando per scontata la professionalità della guida e non sindacando assolutamente la sua scelta (se ha ritenuto di procedere così è perchè pensava fosse giusto) l’eventualità che uno dei due sia scivolato (anche a seguito del cedimento di un appiglio o di una caduta di sassi, ma non per forza a seguito di questi motivi) è da ritenenersi la causa principale in eventi come questi. Tuttavia nessuno ha parlato di questa evenienza (d’altra parte sono solo gli alpinisti normali quelli che scivolano non le guide) e, a mio avviso, se si vuole fare informazione corretta dovrebbero essere riportate tutte le possibilità e non riportare pedestremente le dichiarazioni degli intervistati; anche perchè si sa che le guide sono corporative (diventa difficile poi sostenere che la gente deve affidarsi al loro per andare in montagna) e non sempre obiettive quando analizzano se stesse. Ma i giornalisti devono essere imparziali e dire le cose come stanno.

    1. “Tuttavia nessuno ha parlato di questa evenienza”? Scrive Mario. Quale evenienza? Che differenza c’è tra cadere, precipitare ,scivolare, rotolare giù a causa del cedimento di un appiglio o di una caduta di sassi o qualsiasi altra causa.
      Bisogna essere precisi? Si è vero. Ma quando si può, altrimenti sono tutte congetture. La polemica con le guide ( parziali e mentitrici per corporativismo) poi, pare del tutto fuori luogo.

  2. il vero problema e’ che se un alpinista della domenica avesse fatto la stessa fine su una via come la Deffeyes quasi mai ripetuta causa roccia marcia – i commenti delle guide sarebbero stati diversi

    1. Esattamente come dice Maurizio.
      Se ad essere coinvolti fossero stati alpinisti non professionisti, i commenti sarebbero stati ben diversi e sicuramente l’imprevisto non sarebbe stato il primo pensiero, ma si sarebbe subito puntato il dito sull’inesperienza, sull’imperizia e quant’altro.
      Inoltre non ritengo fuori luogo la polemica poichè questa occasione, seppur tragica, ha fornito l’esempio ideale per esprimere il concetto sopra riportato; ma se mi si vuole dire che, per rispetto della situazione, non si sarebbero dovuti fare commenti critici, allora che lo stesso riguardo si usi anche per le cordate “anonime” che hanno incidenti anche gravi e subiscono commenti poco o per nulla lusinghieri da parte dei cosiddetti “professionisti della montagna” e riportati pedestremente da giornalisti non così scrupolosi nel vagliare tali informazioni.

  3. Se si muore in montagna e non si è G.A. allora si finisce per essere un povero alpinista inesperto che se avesse preso una la G.A. nulla gli sarebbe accaduto”. Mentre se a morire è una Guida si evoca la filosofia e la lotta con l’alpe di Guido Rey ( che tra l’altro uno dei figli del CAI)”

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