Alpinismo

Pakistan: dopo il K2, corsi per sirdar

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BERGAMO — Tecniche di soccorso e di sicurezza, ma soprattutto cura del cliente e comunicazione. Questi i pilastri dei corsi per "sirdar d’alta quota", voluti dal Pakistan Alpine Club e dall’organizzazione italiana Karakorum trust per formare delle vere e proprie guide alpine locali che possano offrire servizi professionali sulle montagne del Karakorum. Un’esigenza nata alla luce della cattiva immagine diffusa, soprattutto nel mondo occidentale, dopo le tragiche vicende estive del K2, nelle quali i portatori d’alta quota pakistani sono apparsi poco affidabili e, in caso d’emergenza, non all’altezza della situazione.

A raccontarci come è nato e come si svolgerà questo progetto c’è Maurizio Gallo, responsabile logistico del progetto Karakorum Trust del Comitato EvK2Cnr. Gallo è tornato una settimana fa dall’ultima missione in Pakistan, durante la quale ha definito i termini dei corsi di formazione con Nazir Sabir, presidente del Pakistan Alpine Club.

Gallo, com’è nata quest’idea?
Dopo quello che è successo sul K2 quest’anno, è stata data un’immagine negativa del comportamento dei portatori d’alta quota pakistani. Molti alpinisti, tra cui Marco Confortola, hanno detto che i portatori locali non erano all’altezza. In effetti, i portatori in Pakistan hanno una cultura molto diversa dagli Sherpa, me ne ero reso conto già durante la spedizione del 2004. Si ritengono e si comportano solamente come dei portatori, anche in alta quota.

In che senso?
In Pakistan, anche in bassa quota, i portatori si occupano solo del trasporto dei materiali. Non hanno rapporti con i clienti e non sono abituati a "preoccuparsi" per loro: rispondono al sirdar, che assolve invece alle funzioni più tipiche di guida, di coordinamento e gestione dell’emergenza. Di solito ce n’è uno per spedizione. Nella loro cultura, quindi, c’è proprio solo l’idea di portare su e giù dei carichi o dei materiali, anche in alta quota.

In Pakistan è percepito come un problema?
Sì c’è molto malcontento e il Club Alpino Pakistano è deciso a risolvere il problema. Per esempio quest’estate, altre spedizioni durante il periodo del K2 hanno licenziato dei portatori d’alta quota perchè non si comportavano bene e li hanno mandati via dal campo base. Questi portatori, in alcuni casi, sono stati poi raccolti da altre spedizioni, riportati al base: poi, proprio due di loro sono morti. Ci sono quindi stati diversi problemi di assicurazioni, perchè loro non erano partiti con quelle spedizioni.

L’immagine che si è diffusa quest’estate corrisponde quindi alla realtà?
Di fatto loro sono portatori e sono sempre stati pagati solo per portare materiali ai campi alti. Non a caso le spedizioni commerciali che andavano al K2 hanno sempre preferito affidarsi a degli Sherpa in alta quota, anche se oggi gli Sherpa pagano la salita come degli alpinisti qualsiasi, diversamente da quanto accadeva un tempo, quando erano considerati "locali" anche in Pakistan. Gli sherpa, dopo decenni di spedizioni all’Everest, hanno ormai assimilato questa cultura da "guida". Seguono i clienti, se hanno problemi li aiutano. In Pakistan è diverso.

L’intenzione è quindi quella di inculcare la cultura di "guida" anche in Pakistan?
Sì. Abbiamo calcolato che attualmente ci sono circa 60 portatori d’alta quota pakistani in attività, di cui 30 sono però ormai a fine carriera. Ad aprile organizzeremo, con il Pakistan Alpine Club, dei corsi per gli altri 30, principalmente con il fine di trasformare "la loro testa", abituandoli a pensare come delle guide e non più come di semplici portatori. Vorremmo chiamarli "sirdar d’alta quota", usando una parola già nella cultura locale indica una guida.

Come saranno strutturati questi corsi?
Ne faremo due ad aprile, ognuno durerà circa una settimana e coinvolgerà una quindicina di portatori. La formazione, quest’anno, non sarà tanto sulla tecnica quanto piuttosto sul modo diverso di interpretare il rapporto con il cliente. Questo perchè i portatori a cui sono diretti i primi due corsi hanno già esperienza d’alta quota. Dall’anno prossimo invece vorremmo iniziare a formare dei giovani senza esperienza, attorno ai vent’anni, per i quali stiamo pensando ad un corso biennale, che vada dall’alpinismo alla comunicazione, inframezzato da un training estivo in una spedizione alpinistica.

Come si svolgeranno i corsi di quest’anno?
Saranno delle full immersion di circa una settimana, svolte in parte in aula e in parte in tenda su ghiacciaio. I portatori devono prima di tutto imparare a comunicare con gli occidentali, quindi studieranno le basi dell’inglese, lingua nella quale saranno tenuti i corsi. Dovranno imparare la disponibilità verso i clienti, un nuovo modo di pensare che verrà loro trasmesso da alcuni Sherpa che inviteremo a far da docenti. Ci sarà un minimo di tecnica alpinistica e una parte più importante di soccorso, che si concentrerà soprattutto sulle modalità di trasporto del ferito.

Come mai il trasporto?
In alta quota di solito è il primo problema: la maggior parte dei soccorsi in alta quota sono per edema, e quindi coinvolgono persone che non son più in grado di muoversi e che vanno quindi trasportate giù. Vorremmo insegnar loro le migliori tecniche per farlo.

I corsi saranno organizzati da Karakorum Trust?
Sì, nell’ambito di questo progetto abbiamo gia formato 100 guide da trekking, tutto sempre in collaborazione con il Pakistan Alpine Club. Quest’anno, a ottobre, ne formeremo altre 120: ormai tutte le agenzie di trekking fanno riferimento a noi per la formazione professionale delle loro guide. Adesso, però, è necessario pensare anche alle guide d’alta quota, soprattutto vista la diffusione delle spedizioni commerciali anche sul K2.

Sara Sottocornola

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