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Coldiretti: “I lupi sono troppi, abbattiamoli”. Sandro Lovari risponde: “La convivenza va gestita”.

Prima di tutto, chiariamo: il 5% ha un senso se si conosce il 100%. È però impossibile fare una stima, infatti sul territorio nazionale ci sono dai 1000 a 2000 lupi, un margine di errore che è del 100%”. Parla così Sandro Lovari, docente e ricercatore dell’Università di Siena esperto di grandi mammiferi (celebri sono i suoi studi sui leopardi delle nevi), che abbiamo contattato in merito alla proposta della Coldiretti di intraprendere in Italia un abbattimento programmato del 5% dei lupi, divenuti troppi secondo il sindacato degli agricoltori, tanto da scoraggiare in molte aree l’attività di allevamento.

Professore, la quantità di lupi presenti in Italia non è quindi precisa?

Il lupo è un animale molto difficile da contare: solo con uno sforzo intenso e localizzato si può arrivare ad una stima abbastanza precisa, ma su ampie scale è arduo. Questo vale soprattutto nel nostro Paese, che ha una copertura di bosco di circa il 40% della boscosità originaria. Il fatto che non sia facile non vuol dire che questo debba scoraggiare il tentativo. Però l’approccio è discutibile: non si può dire che i lupi sono troppi, ma, piuttosto, che in alcune aree i lupi, se sono lupi e deve essere accertato, causano dei danni. Affermare che sono mille e che bisogna abbatterne il 5% presuppone prima di tutto che siano realmente mille e non 2000 o 500 e secondo che si sia in grado di gestire l’abbattimento a un livello accurato. Cacciare il lupo non è come cacciare fagiani: sono animali che imparano molto in fretta e che si muovono di notte. Si fa presto a parlare di abbattimenti, ma non è così facile.

Il numero di lupi però è cresciuto rispetto al secolo scorso quando era presente il rischio di estinzione. Secondo lei, ad oggi, il numero è ancora in crescita o si è stabilizzato?

Fin quando cresceranno gli ungulati selvatici, crescerà anche il numero dei lupi. La biologia degli animali obbedisce a delle leggi molto precise che si sono formate nel corso di milioni di anni: se aumenta l’offerta alimentare, aumenta il numero di bocche che ne fanno uso. Il lupo ricolonizza i territori che dal dopo guerra in poi sono tornati ad ospitare popolazioni molto numerose di ungulati selvatici: cinghiali, in primo luogo (circa il 50% dell’alimentazione del lupo, in media in Italia, si basa sul cinghiale) e poi anche caprioli e i cervi. Il responsabile dell’aumento di questi è parzialmente l’uomo, che ha fatto delle reintroduzioni dove prima aveva fatto estinguere queste specie, ma anche il miglioramento dell’habitat: l’abbandono delle campagne dopo l’ultima guerra è stato estremamente positivo per la fauna, perché si è ricostruita quella vegetazione che la presenza umana aveva alterato;  oltretutto, aver aperto molti campi ha aumentato il perimetro del bosco, favorendo l’habitat di animali tipici di aree al limite, come il capriolo ed in parte anche il cervo.

C’è una differenza quantitativa fra i lupi presenti sulle Alpi e quelli che vivono sugli Appennini?

Sulle Alpi il lupo si era estinto a metà dell’800 e la ricolonizzazione è cominciata una ventina di anni fa dalle Alpi Occidentali, ed ora è nell’area tra queste e le Alpi Centrali. Ed il numero dei lupi è destinato a crescere proprio perché ci sono molti ungulati selvatici. Ho sentito ululare un lupo alle 10 del mattino a non più di 100 metri di distanza nel Parco Nazionale del Gran Paradiso a circa 2000 metri, che quindi arriva ad altitudini anche elevate, dopo appunto ci sono camosci, stambecchi, durante l’estate marmotte; tutte potenziali prede.

L’abbattimento è una strategia adeguata?

Prima di tutto va un po’ smitizzata la figura del lupo come animale che assolutamente non si deve toccare: il lupo è un animale come tutti gli altri. In un Paese che consente l’abbattimento delle volpi, delle faine, non si capisce perché il lupo debba essere un tabù. Se ne deve parlare in modo tecnico, non politicizzato, e decidere l’abbattimento solo nelle aree dove in questo momento può creare un vero problema. Sottolineo però l’aggettivo “vero”, perché spesso il lupo viene usato per ottenere rimborsi danni o, in passato, premi in denaro, quando erano previsti per l’abbattimento, tanto che c’erano tutta una serie di strategie, come il passarsi le carcasse, e la gente se ne approfittava. È difficile pertanto fare valutazione tecniche, perché queste sono inquinate da altri fattori.

Può esserci, però, una soluzione per la convivenza, se non pacifica, almeno gestita tra uomo e lupo?

La convivenza deve essere gestita, ma allargherei questo fine anche all’altra fauna, non solo al lupo. Nei decenni scorsi, in particolare negli anni ’80 e ’90, l’Italia ha cominciato a ripopolarsi di animali a causa del miglioramento della gestione dell’ambiente: sono aumentati i parchi nazionali e regionali, quindi la copertura del terreno protetto è più che raddoppiata, e ciò ha consentito alla fauna di aumentare di numero, ma questa ora si deve confrontare con un altro tipo di fauna, ossia l’uomo. È chiaro quindi che ci vuole gestione, ma deve essere fatta dai tecnici e non, come accade in Italia, dai politici: la politica intesa non come partiti, ma come mescolanza degli interessi economici, di quelli politici, che mirano ad ottenere il consenso dell’elettorato e delle lobby venatorie. Purtroppo gli animali non votano!

Il tema è molto delicato…

È delicatissimo e non so come verrà gestito: sento e leggo di centinaia di migliaia di euro buttati dalle regioni, solo per dire che stanno facendo qualcosa per limitare i danni del lupo, ma sono delle misure che non resistono a qualsiasi analisi minima di carattere tecnico, che trovano la compiacenza di persone che si adattano. Una volta vidi una vignetta di Altan, in cui c’erano due signori e uno diceva all’altro: “Secondo te, ho fatto bene a fare questo?”. L’altro rispondeva “No, hai fatto male” ed il primo allora ribatteva “Pezzo d’asino, io ti ho chiesto se ho fatto bene, non se ho fatto male”.

 

(Photo courtesy of Jim and Jamie Dutcher)

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