Alpinismo

Kopold: menzogne su cime e incidenti

immagine

MANINSKA TIENSLAVA, Slovacchia — “Dodo Kopold ha mentito nei report della spedizione Baltoro Express. Non esistono prove che abbia raggiunto le tre cime dichiarate, Gasherbrum I, II e Broad Peak. E il suo comportamento sul Broad Peak, in occasione della scomparsa del compagno Vlado Plulik, è inaccettabile e da condannare sia dal punto di vista etico che umano”. Questa l’agghiacciante sentenza della Commissione Alpinismo dello Slovak Mountaineering Association, che nelle scorse settimane ha preso in esame la spedizione in Karakorum dell’estate 2008, gettando un’ombra sull’onestà del giovane fenomeno slovacco e scatenando un vortice di polemiche.

La spedizione Baltoro Express aveva in programma di salire tre ottomila nella sola estate 2008: GI, GII e Broad Peak. Del team facevano parte, oltre a Kopold, anche Vlado Plulik e Ales Mrkva, che però ha abbandonato i compagni subito dopo la prima montagna: il GII, dove in vetta è arrivato solo Kopold. Kopold e Plulik hanno poi salito insieme il GI prima di tentare il Broad Peak, dove Plulik è scomparso la stessa notte in cui il compagno toccava la vetta.

Questa, almeno, la verità raccontata da Kopold. Una verità in cui però non ha mai creduto la famiglia dello scomparso, che nei mesi scorsi ha voluto sentire tutti gli alpinisti presenti sul Broad Peak in quei maledetti giorni, raccogliendo testimonianze sorprendenti che hanno fatto vacillare la storia di Kopold, minandola alle fondamenta. E non ci crede, ora, nemmeno il Club alpino slovacco (James), che sulla base di questi ed altri dubbi, ha esaminato il caso con una commissione di esperti e ha emesso una sentenza di “condanna” che smentisce la versione dei fatti di Kopold, dichiara false le sue cime e deprecabile il suo comportamento verso il compagno di cordata scomparso.

Secondo il rapporto della commissione, non ci sono prove che Kopold abbia raggiunto la cima del GI, di cui esiste solo una foto che solleva molti dubbi, nè quella del Broad Peak, di cui non esiste alcuna prova ma soltanto una descrizione che peraltro non corrisponde con la geografia del terreno. “E’ una grave violazione dei principi etici e sportivi di questa associazione, inaccettabile per un membro del James”.

La commissione non crede nemmeno alla storia della separazione da Plulik, poi scomparso nel nulla. Kopold diede diverse versioni di quella storia, tra l’altro rimaneggiate dopo il suo rientro in patria. Nessuna, però, combacia con il racconto di Viktor Lutov della spedizione bielorussa impegnata sulla stessa montagna, e del fuoricasse russo Valery Babanov, che dopo la scomparsa dello slovacco salì fino ad oltre campo 2 per cercarlo.

Un esempio? Kopold, prima, ha raccontato di essersi separato dal compagno per seguire una variante, mentre lui proseguiva sulla via normale. Poi, ha raccontato che entrambi avevano preso la variante. Kopold ha raccontato di aver visto l’ultima volta Plulik alle otto di sera del 26 giugno, mentre scavava una truna nella neve a 7.900 metri. Ma Babanov e i russi, due ore prima, avevano visto Plulik scendere a 7.600 metri da solo.

“Non sappiamo il motivo di queste false testimonianze – scrive Ivan Zila, presidente della commissione alpinismo – ma riteniamo questo comportamento inaccettabile e condannabile sia dal punto di vista etico che umano”.

A gettare ombre sul comportamento di Kopold c’è anche il fatto che Plulik, quella tragica sera, è rimasto da solo sulla montagna senza  casco né pila né radio né satellitare. Kopold, che invece aveva tutto tranne la radio, sarebbe sceso in fretta e furia, e giunto al base non avrebbe aiutato Babanov e gli altri a cercare il compagno. Un comportamento, questo, a quanto pare non nuovo per Kopold: Mrkva, il terzo componente della spedizione, racconta di aver deciso di abbandonare il viaggio a causa di un episodio simile.

“Sul Gasherbrum II non eravamo molto acclimatati – racconta Mrva sul sito di Plulik -. Dopo 15 ore di salita, Dodo mi ha detto che ero troppo lento e di tornare indietro. Ero solo, senza attrezzatura nè materiale per fare acqua. La mia discesa fu un incubo di 5 giorni, che ho superato grazie ad un pezzo di vecchia corda di recupero, e da cui sono uscito con le dita congelate. Ho lasciato subito quella spedizione”.

Sul GI, qualche giorno dopo, gli slovacchi in discesa si sono incontrati con gli italiani Marco Astori e Roby Piantoni. Kopold è tornato dalla cima ed è entrato nella tenda degli italiani, dicendo che il compagno sarebbe arrivato di lì a poco. Dopo cinque ore sembra si sia messo i ramponi, e sorprendentemente abbia cercato di scendere lasciando gli altri due ad aspettarlo.

Scavando nel passato di Kopold, poi, ci si scontra con l’episodio dello Shisha Pangma, dove lo slovacco due anni fa aveva perso il compagno Marek Hudak in circostanze simili. Pare che i due fossero saliti senza tende e sacchi a pelo e che Kopold abbia proseguito dopo la rinuncia di Hudak, senza più ritrovarlo in discesa.

Ma cosa risponde Kopold a queste critiche? Respinge ognuna di esse, chiarendo fatti e opinioni con uno specifico post sul suo sito web.
“Ho fatto tutto il possibile per salvare Vlado – dice l’alpinista -. Capisco il dolore della famiglia e la necessità di trovare un colpevole, ma non sono d’accordo sulle loro rivendicazioni. Proprio perché ero lì e so come sono andate le cose davvero. Sul GII, Ales ha deciso in modo autonomo di scendere. E sul GI, sono sceso prima per preparare la cena a Vlado. Entrambi erano due buoni amici, ma lassù non sei sempre lucido, un errore costa la vita. Io sono stato fortunato”.

L’alpinista dice poi che sul Broad Peak è andata come dice lui, che le vette sono reali, che dopo la tragedia, dal base del Broad Peak, non ha telefonato a nessuno perchè non c’era campo. A chi gli chiede se ha imparato qualche lezione da queste tragiche vicende, lui risponde che “gli incidenti sono l’inevitabile conseguenza di un alpinismo dallo stile elegante”.

Ma nessuno pare volergli credere più. “Kopold risponde alle critiche in modo nervoso e volgare – ha commentato Igor Koller, presidente della Slovak Mountaineering Association – e secondo lui nessun esperto è in grado di comprendere le scalate a ottomila metri, nemmeno chi le ha affrontate prima di lui”. E la famiglia di Plulik non si dà pace: continua a scavare, dichiarando che “non cerca colpevoli, ma vuole la verità che Kopold ha nascosto dietro questi racconti imprecisi e bugiardi”.

Sara Sottocornola

Foto e info courtesy http://www.dodokopold.com, http://www.vladoplulik.sk

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close