Alpinismo

Tragedia del K2: il racconto di Zerain

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MADRID, Spagna — "La fortuna mi ha accompagnato, sul K2. Ma ho anche azzeccato la scelta di andare da solo verso la montagna: in questo modo ho potuto prendere liberamente in ogni momento le mie decisioni". Questa l’analisi di Alberto Zerain, l’alpinista basco che quel tragico 1 agosto, sul K2, ha salito la vetta alle tre del pomeriggio ed è rientrato alla tenda prima del calar della sera, evitando così i crolli dei seracchi che hanno bloccato sulla montagna gli altri alpinisti, inghiottendone 11.

Zerain, 50 anni, ha 6 ottomila in tasca. Ama scalare da solo, aprendo la via, senza ossigeno e in stile alpino. Quest’estate ha salito il K2 in solitaria, partendo a mezzanotte dal campo 3, distaccando la colonna di alpinisti che poi è rimasta bloccata nell’infernale crollo di seracchi e arrivando in cima alle 15, senza ossigeno e dopo aver battuto tutta la traccia nella neve. Prima di sera, era già sceso al campo base.

"Ho saputo della tragedia solo quando ero già in salvo al campo base – ha raccontato alla rivista spagnola Desnivel -. Per me, quindi, la salita al K2 è stata solo qualcosa di speciale, sono contento di come l’ho raggiunta. Ma provo una pena immensa per quelli che non hanno fatto ritorno, soprattutto per gli sherpa e i portatori che hanno dato la vita in nome del dovere".

"Quelli che sono morti – continua l’alpinista basco -, lo sono per diverse ragioni. Nel caso dei due Sherpa nepalesi e dei due portatori d’alta quota pakistani è stato per mettere in salvo i propri clienti. Nel caso degli altri membri delle spedizioni che hanno perso la vita, tranne un serbo caduto nel vuoto nel collo di bottiglia e un norvegese raggiunto da un pezzo di seracco, è complicato sapere esattamente che cosa sia potuto succedere".

Zerain racconta di aver incontrato, mentre scendeva, quella colonna interminabile di alpinisti che continuava a salire nonostante il pomeriggio fosse ormai inoltrato. "A qualcuno dissi che la discesa era molto pericolosa a causa dell’instabilità della neve – ricorda Zerain -. Forse era un modo per dire loro che riflettessero bene su quello che stavano facendo. Mi sono preoccupato vedendo un gruppo così numeroso su pendii così infidi a un’ora così tarda: non è molto prudente. Ma penso che parlare di errori sia molto rischioso e complicato".

Molti, dopo la tragedia, avevano puntato il dito contro le spedizioni commerciali e l’inesperienza di alcuni alpinisti che si trovavano lassù. Altri, hanno riversato la colpa sui portatori colpevoli di aver fissato male le corde fisse, rallentando così la salita. Zerain prende spunto da queste considerazioni per una riflessione sull’alpinismo in generale.

"I grandi gruppi di amici che anni fa organizzavano spedizioni oggi sono quasi scomparsi – spiega l’alpinista a Desnivel -. I tempi in cui viviamo fanno sì che sia possibile comprare tutto senza preoccuparsi di nulla se non di scegliere il pacchetto che una spedizione commerciale ti offre. Ma dietro a queste spedizioni spesso ce ne sono alcune che, senza essere commerciali, rimangono in attesa che gli Sherpa più forti aprano la via. Anche questi gruppi sono in aumento. Nonostante io preferisca trovare meno persone in giro per gli ottomila, è una cosa inevitabile. Per avere più tranquillità bisogna puntare alle vie nuove, o alle più difficili".

"Una spedizione ha davvero successo quando si arriva tutti sani e salvi e più amici di prima – conclude l’alpinista basco, riflettendo sull’esperienza himalayana conquistata in decenni di scalate -. In secondo luogo quando ci si è divertiti e solo al terzo posto metto la conquista della vetta. Con gli anni arrivi a conoscerti meglio, ti poni traguardi sempre più ambiziosi, ma segui i tuoi ritmi".

Con questa filosofia Zerain continua a sognare – e a scalare – le grandi montagne himalayane. La prossima primavera andrà al Kangchenjunga, in cordata con Oscar Cadiach, Julen Reketa e Patxi Goñi.

Sara Sottocornola

Foto e info courtesy of Desnivel.com

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