Nanga: campo due
[:it]ISLAMABAD, Pakistan – Sono partiti alle 5,30 e sono arrivati al campo due attorno alle 16,30. Undici lunghe ore di salita.
La tensione che si accumula nell’azione, il freddo intensissimo dell’alba e poi il sole una volta arrivati in alto, la stanchezza, la consapevolezza del buon lavoro fatto è per oggi tutto alle spalle.
Tutti coloro che vanno in montagna, salendo per lunghe ore complicati e ripidi pendii, sul Nanga prima di campo due c’è pure una barriera rocciosa per nulla facile da superare, sanno che i pensieri corrono nella testa, prendono percorsi logici e si inabissano nelle congetture, nelle ipotesi, negli interrogativi e nelle risposte. Sono poche le parole che ci si scambia in queste occasioni ed hanno il rumore quasi metallico ed alterato della voce che esce dalla gola arsa dall’aria secca e fredda, ma anche i toni più acuti a causa della rarefazione dell’aria.
Si parla tantissimo con sé stessi, quasi una vita interiore parallela. Mentre i piedi e le gambe scandiscono ritmicamente i passi verso l’alto, con i ramponi che s’infilano di volta in volta nella neve o mordono il ghiaccio duro, mentre le braccia forzano movimenti di trazione sulle corde fisse agganciate dalle maniglie jumar ed il torace si gonfia spasmodicamente, mentre tutto questo accade al nostro corpo, dentro la testa c’è il mondo dei pensieri e delle speranze, qualche volta e per qualche momento anche della fuga dalla realtà verso situazioni più domestiche, che ci danno conforto.
Ma lassù dopo tante settimane di molta attesa, i quattro alpinisti stanno ora preparando la loro cena, l’acqua è il più prezioso elemento, e staranno iniziando a distendere i muscoli, nella speranza che il vento si mantenga dentro limiti di vivibilità.[:]