[:it]Mi sono stancato di fingere che non mi occupo del Nanga Parbat, con buona pace di chi non so più per quale astruso motivo pensa e vorrebbe che né io né questo sito, per il quale da qualche settimana mi diletto a scrivere, ci occupassimo del Nanga in inverno.
Dunque eccomi qui e scusate lo sfogo.
Daniele Nardi, che ho sentito dal campo base del Nanga un paio di volte, la prima quando è volato Bielecki, la seconda quando è volato lui, che non è un informatore privilegiato mio o di Montagna TV, ha postato la strepitosa immagine notturna del Nanga, con il cielo color cobalto che qui pubblichiamo. Un segnale benaugurante per chi è in attesa al campo base del bel tempo e di poter fare la prossima mossa. Sperando che altre mosse, forse azzardate, come quelle di Alex Txikon di ieri, che ha rischiato di costargli caro, non compromettano il buon esito o comunque la sicurezza dei protagonisti del Nanga.
Per fare il punto: è certo che, se qualcuno arriverà in cima, scriverà il suo nome nel libro della storia di questa grande montagna e anche dell’alpinismo himalayano. Non necessariamente sarà un grandissimo alpinista, come qualche commentatore del sito ha un po’ maliziosamente scritto, ma di certo avrà avuto in sorte la fortuna, oltre alla capacità di compiere una grande impresa.
Ma perché qualcuno ce la faccia è necessario che si ricominci a salire e che il meteo e le condizioni della montagna lo consentano. Banale, ma è così.
Ora, Txicon, Sadparà e Nardi hanno portato al campo 3 buona parte della loro attrezzatura, Moro e Lunger, no. Dunque non potranno dare che un contributo limitato all’avanzamento verso la vetta. Certo, se le forze o la natura imponessero un’altra rotazione, anche loro si rimetterebbero alla pari e la cordata dei 5 sarebbe eccezionalmente forte.
L’incognita è la neve e il vento che la trascina, la comprime in placche, l’accumula rendendola pericolosa.
L’esperienza drammatica di Txikon e Sadparà di ieri è l’esempio chiarissimo delle precarie e pericolose condizioni della montagna.
L’unica cosa certa rimane che, nonostante il fatto di ieri accaduto forse per la voglia di muoversi un po’, a quel campo base non ci sono persone avventate, e questo è confortante.
Di Moro, mi perdonerà se parlo di lui, ho sempre sommamente apprezzato la capacità di tornare a casa. Una virtù fondamentale che il grande Cassin metteva in cima alla lista di quelle del buon alpinista, tanto da diventare centenario.
Txicon e Alì paiono in ogni caso in forma e girano bene, Nardi potrebbe pescare dall’esperienza dello scorso anno che lo portò a 7800 m e mettere in circolo un po’ di adrenalina. Le gambe le ha, anche il fiato, i due voli forse lo hanno un poco demotivato, ma la montagna è complessa e pure gli uomini e le loro reazioni, e Daniele è un positivo.
Sono convinto che Tamara stia scalpitando, avrà di certo limato più volte le punte dei ramponi, pronte ora a mordere il ghiaccio della Kinshofer, normalmente a casa lo si fa con le unghie, ma anche lei per arrivare in vetta le unghie le tirerà fuori di sicuro. Moro ha trovato la soluzione dopo la rinuncia senza troppi rimpianti alla Messner e ha una buona chance per rimanere in gioco.
Un po’ nevica e un po’ c’è vento, e al campo base si dorme, mangia, ciacola e chatta e si mettono in ordine le fotografie aspettando il 4 febbraio quando il bel tempo sembra che tornerà.
Cleo Weidlich (Cleonice Pacheco alla nascita) e i suoi tre sherpa nepalesi, Dawa Sherpa Sangay di 30 anni, Pema Tshiring Sherpa di 45 anni e Temba Bhote di 33 anni, sono al base dall’altra parte.
Mi chiedo se saliranno portandosi dietro l’ossigeno, com’è d’uso nelle spedizioni da parte degli sherpa e dei clienti che accompagnano. Perchè di questo si tratta. Staremo a vedere.[:]