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Agostino Da Polenza: alpinismo fallito?

Agostino Da Polenza al K2 durante la spedizione “K2 60 years later” (Photo M. Zanga)

BERGAMO – “Gli alpinisti hanno sempre rifiutato “ideologicamente” le gare o la misura qualitativa e quantitativa del loro alpinismo, con questo alienando al grande pubblico la possibilità di riconoscere i bravi da quelli meno”. Questa, secondo Agostino Da Polenza, una delle principali ragioni a causa delle quali l’alpinismo, oggi, è davvero “moribondo”. Il celebre alpinista e presidente dell’Associazione EvK2Cnr ha espresso il suo pensiero sulla questione dell’alpinismo “fallito” sulla quale, in sostanza, dà ragione a Reinhold Messner. Sottolineando però come delle cose nuove, e belle, stiano comunque accadendo.

“Caro Maurizio, sì, ho letto il tuo pezzo sull’alpinismo defunto – scrive Da Polenza sottoforma di una risposta all’opinione di Maurizio Gallo, che abbiamo pubblicato qualche giorno fa -. Avevo letto anche quello di Messner e di Gogna. Non vorrei fare l’ecumenico, mi si addice poco, ma trovo quanto ha scritto Messner vero. L’alpinismo “eroico” dei suoi e in parte nostri tempi è morto o è molto moribondo. C’è un nuovo alpinismo che purtroppo poco conosco che è quello dei giovani, molti dei quali hanno un Dna che certamente è riconducibile all’alpinismo eroico ma che si esprime oggi con altre linguaggi, modalità e gesti.

Del resto credo si convenga che l’alpinismo di Boccalatte, Preuss o Comici era già molto diverso da quello di Messner del “7° grado”, dei quattordici 8000 senza ossigeno. I tempi, per fortuna, cambiano. Prenderne atto è positivo, riconoscere i pregi, l’innovazione , la freschezza dell’alpinismo (e non solo) delle giovani e giovanissime generazioni, ovunque esso si esprima, mi sembra un buon esercizio per invecchiare serenamente e felici. Credo sia questo che tu e Gogna sostenete.

Sulla questione della misurabilità delle prestazioni alpinistiche , che dirti, è storia vecchia. Anche i premi come il “Piolet d’or” sono il segno di una valutazione e di una misura. Eppure gli alpinisti hanno sempre rifiutato “ideologicamente” le gare o la misura qualitativa e quantitativa del loro alpinismo, con questo alienando al grande pubblico la possibilità di riconoscere i bravi da quelli meno. E – si sa – il pubblico, se di questo si vuol parlare, ha bisogno di sapere chi arriva primo, secondo , terzo…

Pensa a come viene considerato persino l’ossigeno, elemento del tutto naturale e “buono”, ma che se utilizzato in alta quota modifica significativamente la prestazione di chi l’assume configurandosi di fatto come doping nell’eccezione che internazionalmente viene riconosciuta a questa pratica. In alpinismo il suo uso viene sminuito, messo sotto traccia, nascosto in modo che la prestazione degli ossigenati (e ce n’è, di super-ossigenati) si parifichi nella finzione a quella degli atleti veri che la prestazione la effettuano con i loro polmoni, cuore, gambe e cervello.

L’alpinismo al “pubblico” in generale e perfino a quello degli appassionati, ha sempre fornito non degli atleti ma degli “eroi” epici. Bonatti lo era di certo, anche se rifiutava la definizione, e pure Messner lo è in buona sostanza , come Cassin e qualcun altro. Tutti grandissimi, anche atleticamente, tutti fanno parte della storia dell’alpinismo.

Peraltro le gare di arrampicata, in tutte le loro evoluzioni, in forza della loro misurabilità e della passione del grande pubblico, sono diventate uno sport grandemente seguito e compreso, il Rock Master ne è l’esempio”.

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