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"Slow mountain": l'Uiaa lancia la proposta di Maurizio Gallo per una montagna più sensata

Maurizio GalloPADOVA — Montagna come esperienza di vita, e non di rischio. Questo il richiamo forte lanciato da Maurizio Gallo tramite l’Uiaa, l’unione internazionale delle associazioni alpinistiche che ha pubblicato nei giorni scorsi una riflessione dell’ingegnere e guida alpina, responsabile dei progetti in Karakorum del Comitato Evk2Cnr, su uno dei temi più caldi dell’attualità di montagna: la sicurezza.

Gallo parte da una domanda esistenziale per ogni amante dell’alta quota: sicurezza e montagna sono due parole che stanno bene assieme? “Non e facile dare una risposta – scrive – ma se leggiamo i giornali e ogni volta che incontriamo qualcuno per strada o al bar, la risposta è: chi va in montagna a fare alpinismo è un pazzo scatenato che rischia la sua vita e spesso anche quella degli altri. Il quadro è drammatico, la sensazione è che siamo sempre più considerati degli emarginati, estraniati dal mondo reale, che si divertono rischiando la vita come in una roulette russa”.

In passato non era così. “Quando io ho iniziato ad andare in montagna con mio padre – riflette Gallo – si respirava un aria sicuramente diversa. Erano gli anni delle grandi salite di Walter Bonatti, dei ricordi mal sopiti della salita al K2, gli alpinisti erano degli eroi, delle persone speciali, ammirati da tutti, anche degli esempi per il loro stile di vita puro, essenziale, a stretto contatto con una natura affascinante, in un lento processo di conoscenza ed esperienza. Di incidenti in montagna ne succedevano anche allora certamente, ma non gli si dava molto peso, il valore della salita, del successo, negli anni dello sviluppo economico dopo tante morti della ancora vicina guerra, erano quelli a cui tutti guardavano e l’alpinismo li rappresentava benissimo”.

Oggi dobbiamo renderci conto che tutto e cambiato. Tutto è diventato una “questione economica” dice Gallo, e forse da questo nasce il problema. “Si parla di valanga colposa, fioccano i divieti, le denunce, i processi – fa notare l’alpinista – mai come oggi la montagna e la sicurezza sono sati cosi agli antipodi. Perfino il soccorso alpino da sempre permeato dei valori di fratellanza, solidarietà, sta scontando continue polemiche del tipo: “chi paga le spese dei soccorsi in montagna?, noi cittadini con le nostre tasse? non e’ giusto! questi si divertono e noi dobbiamo pagare per loro, se hanno dei problemi che si arrangino! e si paghino tutto da soli. Anch io che mi sono trovato impegnato a aiutare degli amici in difficolta anche in condizioni difficili mi sono sentito dire “che cosa sei venuto a fare? gli elicotteri chi li paga?”. Ecco perche e’ sempre più difficile parlare oggi di sicurezza in montagna”.

Insomma, secondo Gallo il progresso ha sì facilitato molte cose in montagna – grazie all’attenzione dei media, agli sponsor, alla ricerca sui materiali. Ma il risultato, invece di un ampliamento del pubblico o della maggior sicurezza, è stato solo una deviazione verso la ricerca dell’estremo.

“I media continuano a produrre foto e film di montagna in cui spesso unico filone è l’impresa più rischiosa come il free solo, lo sci estremo, il base jump, lo skydiving – dice Gallo – e la trama si snoda sempre fra la vita e la morte, sulla linea del “il pericolo è il mio mestiere”. Andare in montagna con l’alpenstock come faceva Joseph Petigax con il Duca degli Abruzzi o utilizzare le moderne piccozze, indossare i pesanti scarponi di cavallino o le leggere e caldissime scarpe d’alta quota di oggi ci ha aperto un nuovo orizzonte. ma ci ha anche nello stesso tempo garantito un passo avanti, soprattutto nuova esperienza, la montagna è la stessa, ma sicuramente abbiamo abbassato il livello di rischio; d’altra parte, purtroppo, lo abbiamo poi innalzato affrontando la montagna con minor sensibilità. Non si può ne deve fermare la ricerca e lo sviluppo innovativo correttamente orientato. Ma bisogna aprire nuove prospettive, verso un riequilibrio della forbice montagna/sicurezza”.

Su questo tema Gallo chiama in causa i media di montagna e agli opinion leader, o a quelli che si chiamano adesso “spin doctor” persuasori occulti nei social network: mandate messaggi e filmati nella direzione della montagna come esperienza di vita e non di rischio”.

Chiede poi “maggiore uso dei sistemi di protezione dal rischio nella maniera più diffusa possibile, in estate, in inverno, sul facile e sul più difficile senza distinzioni di terreno o di quota: non si fa brutta figura, ne si perde la dimensione emozionale e positiva della montagna che deve continuare a produrre stimoli dentro di noi”.

E suggerisce una soluzione che provocherà molte critiche, ma secondo lui indispensabile: “E’ necessario prendere in seria considerazione provvedimenti e regole per limitare il sovraffollamento: penso agli 8000, ma anche alle ferrate in Dolomiti o al monte Bianco”.

Spunti per riflettere ce ne sono a iosa. Che cosa ne pensate?

 

Per il pezzo completo di Gallo vai su: http://www.theuiaa.org

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