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Tragedie in montagna, questione di leggerezza? L'opinione di Hans Kammerlander

Hans Kammerlander
Hans Kammerlander

BOLZANO — Sulle montagne c’è un vero e proprio boom di alpinisti, spesso poco preparati e rispettosi della natura. Hans Kammerlander, 56 anni, è insieme a Reinhold Messner un’autorità indiscussa in tema di alpinismo, legge così l’impennata di decessi verificatisi quest’anno sulle vette altoatesine. L’alpinista originario della Valle Aurina ha messo da parte i progetti estremi ma non rinuncia all’emozione che offre un’ascesa in un ambiente d’alta quota. A ottobre sarà nel Caucaso per la scalata del “Cervino russo”. Questa cima, poco meno di 4.000 metri, chiuderà la prima parte del progetto “I monti Cervino del mondo” che Kammerlander ha iniziato vent’anni fa.

Hans Kammerlander, nel 2013 sono già 36 i decessi in montagna, 13 più che durante tutto il 2012. Come legge questo dato?
Quando vi sono grandi masse di persone sulle montagne la probabilità di incidenti aumenta. Negli ultimi anni l’alpinismo e l’arrampicata sono stati interessati da un vero e proprio boom. Quest’anno si sono verificate due incidenti che hanno causato più vittime contemporaneamente: quella del Gran Zebrù con sei morti, e quella del Sassolungo con tre morti. Questo ha certo comportato un aumento dei decessi.

Come giudica la dinamica di queste due tragedie?
Nel primo caso l’incidente poteva accadere anche a persone molto preparate ed esperte. Si sono create delle circostanze sfortunate all’improvviso, con un tempo di reazione insufficiente anche per scalatori navigati. Oltretutto il Gran Zebrù è notoriamente la montagna più pericolosa dell’Alto Adige. Nel caso del Sassolungo invece si può dire che gli scalatori non hanno rispettato alcune regole basilari per la propria sicurezza. Perché bisogna sempre ricordare che la corda di assicurazione non è un ornamento bensì un sistema che, se usato bene, può salvare la vita.

Si potrebbe dire che c’è a volte una certa leggerezza nell’affrontare la montagna. Cosa ne pensa?
Il problema principale è secondo me la mancanza di rispetto nei confronti della natura. Da scalatore capisco l’entusiasmo e la voglia di andare avanti, di arrivare in vetta, ma non bisogna mai dimenticare che se una via non è sicura, oppure se le previsioni del tempo non sono buone, allora bisognerebbe essere capaci di voltarsi e tornare indietro. Questo intendo con rispetto della natura: la capacità di capire quando la natura non offre le condizioni adatte per scalare in sicurezza. Non giudico gli scalatori privi di esperienza, anzi capisco la loro motivazione e passione, la gioia di un’ascensione. Ma dovrebbero essere più attenti, guardarsi intorno e non andare avanti a tutti i costi.

Quale caratteristica deve avere un buon alpinista?
Innanzitutto l’intelligenza. Uno scalatore stupido è uno scalatore morto. Certo c’è sempre una dose di fortuna o di sfortuna ma la verità è che chi va in montagna deve avere non solo il fisico e l’attrezzatura buoni, ma anche la testa, la visione.

Come vede il suo futuro ora che ha abbandonato le imprese “estreme”?
Il progetto che sto portando avanti è iniziato quando scalai per la prima volta il Cervino. Mi innamorai della sua forma e da allora ho deciso di andare a cercare in giro per il mondo tutte le montagne che abbiano la stessa forma e immagine. Ogni capitolo del progetto ne prevede sei e a ottobre concluderò la prima parte con la salita del Cervino della Russia nel Caucaso. Non è un monte altissimo, non arriva a 4.000 metri, ma è di una bellezza rara, come l’originale svizzero: solo, dominante e meraviglioso. Dopo il primo, vent’anni fa in India, sono seguiti Nepal, Svizzera, il Mount Assiniboine nelle Rocky Mountains canadesi, la Stetind in Norvegia lo scorso agosto, e ora in ottobre tocca al Caucaso.

 
Silvia Fabbi – Articolo pubblicato nell’edizione del 13 settembre del Corriere dell’Alto Adige

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