Alpinismo

Nives Meroi e l’Everest: attesa logorante

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RONGBUCK, Tibet — "Tempo vuoto, aspettando che il meteo conceda una tregua, che il freddo smetta di digrignare i denti, che la parete si dilati, che la stanchezza accumulata permetta anche solo di "pensare" di andar su". Così Nives Meroi descrive l’attesa di salita ai piedi del versante tibetano dell’Everest.

Vento, freddo oltre i 20 gradi sottozero e un via-vai da mercato lungo tutto l’itinerario di salita. Sono queste le condizioni in cui la spedizione si trova dal 21 aprile, data in cui ha raggiunto il campo base. In questo periodo ha montato campo 1 e portato il materiale per campo 2 a quota 7.600 metri.
 
Ora la Meroi, il marito Romano Benet e la guida del Monte Rosa Fabrizio Mannoni si trovano al base, in attesa di una finestra di bel tempo che dovrebbe aprirsi dopo il 10 maggio. Allora gli alpinisti effettueranno il tentativo di cima.
 
La tattica sarà quella di una salita veloce e come sempre in stile leggero, senza ossigeno nè portatori di alta quota. Partenza con il campo in spalla, pernottamento a campo 2 e poi, se possibile, a 8.100 metri per ulteriore acclimatamento. Quindi vetta e discesa.
 
Una scelta obbligata dato il sovraffollamento della parete. A quanto pare, si fa fatica anche a trovare il posto per mettere la tenda, in campi che sembrano "camping marittimi", come li definisce la stessa Meroi.
 
"Più che una parete, sembra di essere in un cantiere – scrive la Meroi sul suo sito web -. Non so quante decine di spedizioni ci siano, quaante centinaia di alpinisti e sherpa. Fatto stà che è un continuo andirivieni di sherpa che a tutte le ore salgono e scendono per attrezzare la parete, trasportare ossigeno e alpinisti e allestire campi in cui non si trova più un buco libero".
 
 
 
Sara Sottocornola
 
 

 
 

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