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Himalaya: è tornato il leopardo delle nevi

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NAMCHE BAZAR, Nepal (Ansa) —  Perseguitato dai pastori che difendevano il loro bestiame, ucciso con il veleno e con lanci di pietre, il leopardo delle nevi era sparito da 40 anni dal Parco Nazionale dell’Everest e faceva ormai parte della lista delle specie minacciate di estinzione. Viveva nelle foreste attorno a Namche Bazar, ad una quota compresa fra 3.500 e 4.500 metri, ed è qui che i ricercatori del Comitato Ev-K2-Cnr ne hanno trovato le tracce, tanto da poter affermate che il leopardo delle nevi è tornato in modo stanziale nel suo habitat.

Non soltanto: nei giorni scorsi sono riusciti a  fotografarne un esemplare e sono in grado di stabilire che, con il lepardo delle nevi (Umcia umcia), sono tornati nel Parco il lepardo comune (Panthera pardus) e il gatto lepardino (Prionailurus bengalensis).
 
"Negli anni ’60 gli ultimi leopardi delle nevi erano stati spinti via da quest’area dalle popolazioni locali, che li avevno uccisi con il veleno per proteggere il bestiame da allevamento. La stessa cosa è successa nei confronti di lupi e sciacalli. Di conseguenza per 40 anni nessun predatore era più comparso nella zona",  racconta il responsabile della ricerca, Sandro Lovari, dell’università di Siena, che in questi giorni ha annunciato il ritorno del leopardo delle nevi alla popolazione locale in cerca di una strategia comune che permetta di salvaguardare i predatori.
 
Oggi è possibile affermare con certezza che il leopardo delle nevi è tornato nel Parco dell’Everest in modo stanziale grazie alla ricerca avviata nel 2002 dal gruppo di Lovari, nata dall’osservazione che in autunno i branchi di una specie simile allo stambecco, chiamata thar,erano quasi privi di piccoli: appena due o tre ogni dieci femmine. "All’inizio – dice Lovari – pensai che il fenomeno potesse essere dovuto a una malattia, oppure alla predazione dei neonati da parte dei rapaci".
 
Ipotesi che vennero rapidamente escluse. La prima avvisaglia del ritorno del leopardo delle nevi risale al dicembre 2003. "Io e i miei studenti – racconta – trovammo escrementi a quota 3.600, a Kanjuma. Nemmeno dieci giorni più tardi gli studenti videro l’animale addormentato vicino a una carcassa. La foto di allora era poco riuscita, ma era comunque la prova che il leopardo delle nevi era tornato.
 
Fino a quel momento si credeva che il leopardo delle nevi fosse presente solo nel Tibet meridionale e che di tanto in tanto singoli individui si addentrassero nel Parco dell’Everest".
 
Nettamente più definita è la foto scattata nei giorni scorsi da un collaboratore di Lovari, il veterinario Luca Rossi, delll’università di Torino. "Lo ha trovato per caso, in pieno giorno, mentre mangiava una carcassa di yak, ed è riuscito a fotografarlo da vicino.  Il leopardo delle nevi non è un animale aggressivo".
 
A portare i ricercatori sulle tracce dei leopardi è stata l’analisi delle feci, dalla quale sono stati ricavati sia dati genetici sia informazioni sul tipo di alimentazione. "Siamo in grado – dice Lovari – di stabilire come l’alimentazione del leopardo delle nevi cambia nel tempo. Si è visto che una specie  simile allo stambecco, il thar dell’Himalaya, costituisce il 70% della fonte alimentare in estate, ossia dopo la nascita dei piccoli, che avviene in giugno".
 
"In autunno – prosegue il ricercatore – questa fonte alimentare crolla al 35%-40%, sostituita dal bestiame domestico e, per un altro 30% i leopardi si nutrono di un cervide simile a un capriolo".
 
Adesso la preoccupazione e che il ritorno del leopardo delle nevi possa incidere pesantemente sulla popolazione dei thar e in futuro è da aspettarsi un aumento delle prede fra gli animali domestici.
 
 Per questo motivo il prossimo obiettivo dei ricercatori è continuare a tenere sotto controllo le abitudini alimentari del leopardo delle nevi e di seguire gli spostamenti dei singoli individui per mezzo di collari satellitari. L’obiettivo è evitare che possa ripetersi quanto è accaduto 40 anni fa: "Tanto ci è voluto perché questa specie tornasse nel suo habitat e un intervallo così lungo ci fa pensare alla lentezza con cui si ricostituisce la comunità dei grandi mammiferi colonizzatori, come è accaduto alla lince sulle Alpi".
 
Foto: Luca Rossi
 
 

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