Storia dell'alpinismo

Alpinista, Archimede, Aggiustaossa. E poeta. Mario Frigerio, una storia d’altri tempi

Mario Frigerio
Mario Frigerio

LECCO – Lauree non ne ha. Ma le ginocchia di Cassin, le ha sempre sistemate lui. Detto il “giustaoss”, o Mario di Bèpe, Mario Frigerio a Lecco è una vera e propria istituzione: in sessant’anni e forse più, ha sistemato distorsioni, botte, stiramenti e schiene di grandi e piccini a chi glielo chiedeva. Lo ha fatto con ricette naturali e due mani sapienti, sotto indicazioni ricevute direttamente dal cielo. Anzi, direttamente da San Pietro, al cui cospetto è arrivato durante un coma all’età di 16 anni.

Così è iniziata la storia di Mario, oggi 81 anni e un fisico da sciatore e alpinista. Filosofo, poeta e un po’ inventore, ogni mercoledì lui va a in montagna, poi dedica il suo tempo a chi ne ha più bisogno. Il suo “studio” è una specie di album dei ricordi, dove sono appese cartoline da ogni vetta del mondo, biglietti di Riccardo Cassin, dediche di Carlo Mauri, disegni delle prime salite compiute e mai divulgate al pubblico, ritagli di giornale e poesie, scritte di suo pugno e incastonate su croci, fontane, vette, sentieri, alpeggi delle montagne nei dintorni di Lecco.

“Guarda qui, col Bigio abbiamo fatto la corsa in cima, quella volta – racconta Mario -. Qui invece è quando siamo andati la Monviso, io e Sandro che era il mio maestro di scuola e poi è diventato il mio secondo in montagna. Anche nei momenti difficili era calmissimo, nella nebbia era capace di dirti: “Lasèm fà 2 tiri alla pipa”. Al Monviso abbiamo attaccato una cresta che ci piaceva, e in cima siamo arrivati in conserva. Lassù, le guide dicevano: “ecco, è il sistema di salire, non si fa, da dove siete passati”. “Da qui”. E l’altro gli dice “è la prima”. A me non interessa. Ma mi ricordo che ci hanno chiesto da dove venivamo, e quando abbiamo detto “da Lecco”, hanno risposto: “allora non parlo più”. Adesso purtroppo l’alpinismo di Lecco non è più così. Adesso fanno quelle falesie lì, si mettono sotto e fan 4 salite, difficili per carità, ma son sempre lì. Se vai in Valsassina li vedi tutti là a Barzio alla Casa delle Guide. Oggi non sanno più come primeggiare, ma non è quello il senso dell’alpinismo”.

Cassin, che abitava ad un tiro di schioppo, lo ha invitato spesso a entrare nei Ragni, ma lui non ha mai voluto. Preferiva vivere la montagna in libertà assoluta, andare con i compagni di cordata di una vita. Come Gianfranco Frezzato. “Non aveva una gamba – racconta Mario -. Ma insieme abbiamo fatto la Cassin alla Medale e la Nord della Cima Piazzi. Sul Dente del Gigante c’era anche Bonatti col cliente. Gli ho raccontato abbiamo fatto la via in tre ore, lui mi ha risposto pensa che io ce ne ho messe 4”.

“Mi ricordo in Dolomiti le 5 torri di Averau – dice Mario -. Ci sembrava dura la via, c’era un tetto, l’ho superato con un po’ di numeri. C’era dietro una cordata, in cima hanno chiesto: sai cosa avete fatto? La Direttissima degli Scoiattoli, la nostra. Mi hanno detto che il mio stile ricordava Comici. Io arrampicavo fuori, meno si è aderenti meno si fa fatica, ma non tutti lo facevano allora. Ecco perché mi piacevano le vie di Comici, erano salite eleganti. Tornati giù mi hanno fatto vedere che stavano facendo le scarpe “alla Toni Egger, che avevano una lamella di ferro nella suola in modo che attaccavi sullo spigolino. E me le hanno regalate. In Grigna mi guardavano tutti le scarpe. E mi chiedevano ma che cosa sono? Sarebbero uscite solo l’anno dopo. Sono andate un bel po’ di anni. Nel 56 sono andato da Introbio, Biandino fino al Pizzo, poi sulla cresta verso il Legnone, ho bivaccato e sono sceso verso Pagnona e poi a piedi fino a Lecco. Nello zaino avevo 2 fette di polenta, 2 uova in uno, un pezzo di lardo, un panino e una tavoletta di cioccolato rubato alla mamma. I soldi mi son bastati solo per andare a Introbio con l’Autobus. Il giorno dopo alle 2 ero qui. Camminavo ubriaco””.

Mario dice di essere sempre andato a scalare per divertirsi e far divertire. “Riccardo (Cassin) quando veniva qui diceva: adesso che siamo qui noi “craponi”, c’è da dire una cosa. Abbiamo sempre lavorato col cervello perchè siamo diventati vecchi e siamo scampati. Ti meritavi il titolo di guida. Basta parli più”.

Mentre parla, Mario mostra i suoi ricordi e i suoi strumenti di lavoro. E’ un’Archimede dei giorni nostri. Tutto costruito con le sue mani, come i chiodi di arrampicata e gli attacchi a molla per lo scialpinismo, con sgancio automatico dello sci, quando ancora non esistevano. Ha cambiato 13 volte ditta di lavoro, perchè quando non c’era più spazio per l’invenzione, era meglio cambiare.

Ma come ha iniziato a fare il “giustaòss”? La storia ha dell’inverosimile, ma la sua evoluzione è quanto mai reale. A 16 anni, Mario viene operato di appendicite. “Il giorno dopo avevo sete e ho bevuto il latte a quei due che erano in stanza con me – racconta -. Mi han fatto un’iniezione e boh, non ricordo bene ma sono stato male. Ho visto San Pietro, era lì vestito di bianco girato come te. Arrivo sulle nuvole e gli dico, volevo studiare da dottore ma non son riuscito. Vedo ancora adesso quella mano destra alzata. Ha detto: “torna indietro, vai giù che devi studiare. Ricordati bene che sarà molto lunga per te alleviare ogni tipo di sofferenza”. E poi è sparito. Non so se fosse vero, ma io aiuto finchè posso. Il primo che è sistemato è il mio compagno di cordata scendendo dalla Grigna, aveva storto una caviglia. Gli ho detto siediti li che ti metto a posto. Sentivo sotto le mani dove c’era qualcosa che non andava, per me era naturale”.

“Ma la montagna non è solo alpinismo – dice -. Lì ho anche un po’ di cose, poesie, ricette per curarsi con le erbe, disegni. La prima targa che ho scritto è Rosaspina. Io volevo fare il chirurgo, invece non ho potuto studiare e allora ho cominciato a scalare. Il significato della poesia è che volevo fare una cosa e non ce l’ho fatta. Ho sempre scritto poesie, quando mi succedeva qualcosa o quando vedevo qualcosa che mi colpiva. Ci tengo molto a quella per Guido Zucchi. Tornavo da Livigno con la moglie, mi chiama suo fratello e mi dice che Guido è morto. Si era strangolato. Ho scritto la poesia e poi l’ho letta in chiesa e gliel’hanno messa in Grigna e al cimitero”. Zucchi, 73enne, era noto come “custode della Grignetta”. Passava lassù la maggior parte dell’anno, salendo con una gerla piena di bibite e panini per gli escursionisti: ma un giorno qualcuno lo denunciò per questa sua attività. Fu un colpo tremendo da cui non si riprese. “Ci tengo a Guido – racconta Mario -. La sua morte è passata sui giornali e poi è stata messa in un cassetto. Ma era una persona di quelle che se ne trovano poche”.

Molte altre delle sue poesie spiccano sotto croci di vetta, monumenti e fontane. “Le croci così sulle montagne non vogliono dire niente – dice -. Bisogna dire dove si è e dar loro un significato, allora ho scritto queste targhe. Arrivare in cima vedere tutto nudo per me vuol dire quasi niente. Vedere la croce vuol dire sapere che c’è stata altra gente, vuol dire che non tutti possono arrivare a quella soddisfazione. Non sono uno che va in chiesa, ma bisogna pensare anche agli altri. Dopo ognuno la pensa come vuole”.

Ne pubblichiamo alcune, con l’autorizzazione dell’autore.

 

Rosa Spina
O bel fiore di roseto che sbocci di mattino
Quando l’alba si sveglia coi tuoi petali profumi il giardino
Come è dolce coglierti ed al cuor stringerti vicino,
o bocciolo di rosa dal gambo spinoso
che più volte anche io mi son punto
nello staccarti dal tuo roseto
ma la spina più potente fu per me il tuo appassir
che m’ha lasciato col cuore avverso
traboccante di dolor.
Come un essere in pena
Or cammino senza meta
Curvo e stanco della vita
Che ha lasciato in me un vuoto.

Bivacco Culmine
Qui ci sono e qui rimango
A contatto col bivacco,
qui nel mezzo del bel prato.
Vedo l’alba a spuntar
E gli uccelli a cantar
È così che a volte aspetto invano
Che qualcuno deponga un fiore
Qui, al mio fianco.

3 croci
Come simbolo
Ho l’aria di sofferenza
Ma per te escursionista
Voglio essere di clemenza
Da qui ti osservo e ti stimo
Se la montagna tu rispetti
Lasciando alle tue spalle
La pulizia e non sporcizia
Come spesso qui succede.
Grazie

Guido Zucchi
Oggi vi lascio con grande rimpianto,
ho vissuto un trentennio della mia vita in cima alla Grignetta,
salendo con la mia gerla,
carica di bevande e panini
per gli escursionisti,
ho conosciuto molte persone
senza conoscere il nome
ma solo l’anima,
molte volte ho dato una mano a chi mi chiedeva aiuto
portandoli in salvo.
Amici montanari, mentre salite, osservate:
la natura, i ghiacciai, le cascate,
i sentieri che portano alle vette
che hanno scolpito nel mio cuore
il vero senso della vita “

L’amore non ha confine
Dopo la sessantina
Deponi l’amore in cantina
Ti senti ormai finita
Ma l’amore può sblocciare
Se un bel fiore
Te lo stringi al cuore
E sentendo il suo profumo
Ti lasci trasportare
Ora col cuore,
ora col pensiero
ora con un bacio
ora pensando al passato
tu ti senti ancor protetta
di quel fiore
gentil perfetto

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