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Valanghe e incidenti, perchè le vittime sono sempre gli esperti e i prudenti?

Elicottero Cnsas (Photo courtesy ecodibergamo.it)
Elicottero Cnsas (Photo courtesy ecodibergamo.it)

BERGAMO — “Era un grande esperto di montagna”, “molto prudente”, “assolutamente non spericolato”. Sono queste le frasi che circolano, immancabilmente, il giorno dopo un incidente in montagna. Circolano oggi, dopo che alcune persone sono morte travolte dalle valanghe di neve fresca dopo forti precipitazioni. E sono circolate in quasi tutti i grossi incidenti recenti e meno recenti in quota.

Voglio chiedervi perchè. Perchè venerdì è arrivata una grossa nevicata e tra ieri e oggi ci è toccato scrivere di 5 morti in valanga. Colpa dei giornali? Simpatica idea. Basterebbe chiuderli e sarebbero tutti vivi, allora? Poi vorrei sapere perchè, più spesso di quanto sarebbe logico, sono i prudenti e gli esperti a finire vittima di incidenti. Pensateci sinceramente. Le possibilità sono tre: non erano così esperti, lo erano ma hanno sottovalutato la situazione, sono solo sfortunati.

Forse per qualcuno può essere consolatorio pensare una cosa del genere. Ma personalmente a me fa rabbia quando qualcuno muore in montagna, soprattutto se sono i cosiddetti “esperti” che, invece, dovrebbero essere quelli che sopravvivono e si salvano. Altrimenti vuol dire che la montagna è un gioco al massacro, che tu puoi essere più o meno bravo ma quando ti tocca ti tocca. E’ così? Credo proprio di no.

La fatalità certo gioca molto, in ambienti come questo. Ed è molto difficile stabilire dei limiti. Ma la sfortuna non può essere causa e spiegazione del 100% degli incidenti. Riconoscerlo, forse, ci aiuterebbe a evitarne altri. Forse non molti, ma qualcuno magari sì.

L’altro giorno un amico guida alpina mi faceva notare che i bollettini meteo non sono “Vangelo”, e che il pericolo valanghe può essere 4 in un vallone e 2 sul pendio a fianco. Gli ho risposto che secondo me erano comunque indicazioni utili per i meno esperti, perchè la valutazione del pendio non è così immediata per tutti. A me risuonano ancora in testa le voci degli istruttori del corso di scialpinismo che martellavano sul pericolo valanghe: le frasi come “è bello uscire con tanta neve fresca ma è una delle cose più rischiose che ci siano se non sai valutare esattamente il percorso”. Forse mi restano in mente perchè sono fifona.

Però mi chiedo, non sarà che a volte ci si sente di poter gestire con sicurezza situazioni che in realtà sono al limite delle propria capacità di valutazione? Non sarà che questo accade più spesso a coloro che vanno più spesso in montagna? Io sinceramente di discorsi così: “ma chi se ne frega” “ma tanto non succede niente”, tra risate e sghignazzi, ne ho sentiti fare tanti, ma tanti, da amici e da sconosciuti. La maggior parte delle volte è vero, va tutto bene. Nessuno però lo ammette, quando purtroppo capita qualcosa. Era sempre una cosa super-sicura di super-esperti che è andata male per chissà quale motivo. Oppure è il milanese che ha sbagliato le scarpe. Vie di mezzo, zero.

Certo, il rispetto del dolore dei familiari è prioritario in questi casi. Ma a volta mi piacerebbe anche vedere qualche analisi obiettiva, in cui si riconoscono eventuali errori che magari un domani possono essere evitati da altri.

E per carità basta con i commenti patetici, frasi fatte come “inseguiva un sogno ed è morto per quello”, perchè fanno solo rabbia. “Gli alpinisti veri sono quelli che rimangono vivi”: è una frase detta tutti i più grandi, non sempre può essere rispettata e forse sarebbe meglio ricordarselo. Questa linea di pensiero fa solo male alla montagna.

In montagna si può morire, come per strada: non è un merito, al massimo una fatalità. Ma non sempre.

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