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Cai e associazioni ambientaliste insieme per il rischio idrologico: subito un piano di lavoro

La frana di Cimaganda dello scorso settembre (Photo courtesy of Gaetano - www.vaol.it)
La frana di Cimaganda dello scorso settembre (Photo courtesy of Gaetano – www.vaol.it)

ROMA — Monitorare, prevenire e svolgere lavori di manutenzione. Questi gli interventi di massima urgenza necessari al territorio italiano per contrastare il rischio idrologico. Lo dicono Cai, Fai, Italia Nostra, Legambiente, Touring Club Italiano e Wwf in un documento congiunto – Carta di intenti per “La messa in sicurezza ambientale dell’Italia” – nel quale fanno fronte comune per chiedere alla politica che si prenda carico di occuparsi concretamente dei terreni instabili su tutta l’area nazionale. Bisogna essere subito operativi, ammoniscono le associazioni ambientaliste, a cominciare dallo stanziamento dei fondi, assolutamente insufficienti.

Nel documento divulgato dalle associazioni viene sottolineato come lo stato di emergenza duri ormai da 3 anni, volendo prendere il disastro di Giampilieri e Scaletta Zanclea dell’ottobre 2009 come incipit e l’allagamento della Maremma avvenuto nel novembre 2012 come ultimo di una lunga serie di episodi. I disastri ambientali minano la sicurezza delle persone, la convivenza civile, le economie locali e distruggono affetti e memoria delle persone e delle famiglie. Partendo da queste considerazioni una coalizione delle sei principali associazioni ambientaliste, composta da Club Alpino Italiano, FAI – Fondo Ambiente Italiano, Italia Nostra, Legambiente, Touring Club Italiano e Wwf, ha sottoscritto una Carta di intenti per “La messa in sicurezza ambientale dell’Italia”. La carta, firmata alla vigilia della Giornata mondiale del Suolo del 5 dicembre, richiede l’istituzione a brevissimo tempo di un tavolo di confronto permanente con le istituzioni sia politiche sia amministrative, che si avvalga della competenza di organizzazioni della società civile e le associazioni scientifiche e professionali perché siano garantiti fondi adeguati per le attività di prevenzione e di intervento sull’emergenza, il coinvolgimento delle popolazioni e il coordinamento degli interventi.

“Le sei maggiori associazioni ambientaliste – si legge sul comunicato stampa ufficiale del Cai -, notando un’insostenibile disparità tra gli impegni annunciati dalle istituzioni e quelli effettivi, hanno chiesto in questi giorni un incontro con il Ministro dell’Ambiente, della tutela del Territorio e del Mare, Corrado Clini, a seguito della lettera che il Ministro ha inviato il 19 novembre scorso al Commissario europeo sul Clima, Connie Hedegaard, e al Commissario Europeo per l’Ambiente, Janez Potocnik, per chiedere di portare fuori del Patto di Stabilità i 40 miliardi di euro che dovrebbero servire per attuare la “Strategia Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici e la Sicurezza del Territorio”, che dovrebbe essere approvata in CIPE entro il dicembre 2012. Nel chiedere questo primo incontro le associazioni ambientaliste rilevano che, a fronte di un impegno di 2,6 miliardi di euro l’anno per raggiungere in 15 anni i 40 miliardi di euro previsti per finanziare la Strategia di largo respiro annunciata dal Ministro Clini, nella Legge di Stabilità 2013, non ci sono nemmeno i soldi sufficienti per gestire le emergenze: al Fondo per la Protezione Civile il prossimo anno vengono destinati 79 milioni di euro, con un taglio di 100 milioni di euro rispetto a quanto stanziato nel 2009 (anno di inizio dell’emergenza permanente). Una cifra che costituisce solo il 2,6% dei 2,6 miliardi di euro l’anno che si ritengono necessari per fare interventi urgenti preventivi di manutenzione del territorio e di adattamento ai fenomeni estremi, sempre più frequenti”.

Secondo quanto affermato nella Carta d’intenti, oltre che a correre ai ripari in situazioni già pericolosamente in bilico, la vera arma difensiva è la prevenzione.  “La messa in sicurezza – si legge infatti -, sia considerata la vera, più grande opera pubblica a garanzia del futuro del Paese. La migliore risposta alla necessità di un rilancio economico e occupazionale dell’Italia. Solo così si avrebbe sicuramente un intervento diffuso sul territorio, ad alta intensità occupazionale, oltre che ad elevata qualificazione professionale”.

Secondo le associazioni sono necessari pertanto interventi che sappiano coniugare prevenzione, informazione e coordinamento, perché il rischio idrogeologico riguarda l’82% (6.633) dei Comuni italiani, come documentato nell’indagine “Ecosistema a rischio 2011” di Legambiente e della Protezione Civile. L’indagine ha intervistato 1500 Comuni sulle attività di prevenzione: l’82% ha risposto di avere Piani di emergenza, ma solo il 33% svolge attività di informazione e il 29% esercitazioni di protezione civile che coinvolgano la popolazione.

Importante ai fini della prevenzione di nuovi disastri idrologici, sarebbe inoltre porre un limite al consumo del suolo. Secondo il documento “Terra rubata” redatto da Fai e Wwf se si consumerà con i ritmi attuali nei prossimi 20 anni non si potrà tracciare un cerchio di 10 chilometri senza intercettare un insediamento urbano. Fondamentale sarà l’impegno serio a contrastare ogni forma di abusivismo edilizio: in base a quanto emerso dai 3 condoni del 1984, 1994 e 2003 che hanno fatto emergere dal 1948 ad oggi sarebbero stati rilevati 4,6 milioni di abusi edilizi – 75mila l’anno e 207 al giorno. Sarebbero statui costruiti 450mila edifici abusivi, abitati da circa 6 milioni di abitanti.

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Un commento

  1. PARLARE DI RISCHIO “IDROLOGICO” è FURVIANTE E LIMITATIVO.
    MOLTO PIù CORRETTO PARLARE DI RISCHIO IDROGEOLOGICO CHE COMPRENDE ANCHE ASPETTI COME LA DINAMICA DEI VERSANTI, CONSIDERANDO LE CONDIZIONI GEOLOGICHE, GEOMORFOLOGICHE, METEREOLOGICHE E CLIMATICHE….

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