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Confortola: rimango al Manaslu, ma non sono uno scellerato

Marco Confortola
Marco Confortola

KATHAMANDU, Nepal – “Molti penseranno che siamo degli scellerati nel voler rimanere e tentare di raggiungere l’obiettivo per il quale siamo venuti fin qui. Siamo tutti ben coscienti di quello che facciamo e purtroppo l’Alpinismo è anche questo, inspiegabile e non concepibile per chi non vive di montagna”. Con queste parole Marco Confortola comunica, a distanza di pochi giorni dal crollo del seracco e della valanga che ha ucciso 11 persone, la sua decisione di rimanere al Manaslu per tentare la salita alla vetta.

L’alpinista valtellinese lo aveva preannunciato il 24 settembre, ovvero il giorno dopo la tragedia, dalle pagine della Gazzetta dello Sport e lo ha confermato oggi con una dichiarazione personale su facebook: il suo obiettivo è quello di arrivare in vetta agli 8.163 metri del Manaslu per dedicare la cima all’amico Marco Simoncelli. Ieri Confortola è salito ai campi alti per verificare cosa fosse rimasto dei suoi materiali e con l’occasione ha voluto anche effettuare un’ispezione sulla valanga per vedere se avesse potuto ritrovare qualche superstite.

“Da poche ore sono rientrato al Campo Base dalla montagna – scrive infatti l’alpinista di Santa Caterina Valfurva sulla sua pagina di Facebook -. Lunedì, mentre aspettavamo d’essere elitrasportati al Campo 2 per aiutare nelle ricerche, con Dario e Sergio, due guide UIAGM di Chamonix guardavamo attentamente la grossa valanga con i binocoli e si notavano due evidenti punti neri. Abbiamo pensato che fossero delle persone, ma purtroppo ci sbagliavamo”.

I tre alpinisti che mancano all’appello nel bilancio complessivo delle vittime, attualmente sceso a 11 – 8 morti accertati e 3 dispersi -, non sono infatti ancora stati ritrovati. Si tratta degli sciatori francesi Remy George Lecluse e Gregory Ugo Costa, e del canadese Dominique Quimet.

“Ieri mattina di buon passo ho raggiunto Campo 1 e Campo 2  – continua Confortola – e poi mi sono avventurato sulla valanga verso Campo 3 per assicurarmi di controllare per bene (anche se già controllato dagli Sherpa) che quei punti che vedevamo fosse materiale e non appunto persone. Verso le 13 ho raggiunto il punto più alto a 6600 metri più o meno e da li ho iniziato una discesa zigzagando per ispezionare più valanga possibile. Ci tenevo a fare questo controllo perché tra i dispersi c’è Remy con il quale ho parlato parecchio nei giorni scorsi e l’avevo anche aiutato un giorno a spalare per liberare la sua tenda avvolta dalla neve. I punti neri erano sacchi a pelo pieni di ghiaccio e neve. Nella mia camminata, ho ritrovato il mio sacco a pelo quello di Pasang e quello di Gnaro”.

Recuperato il materiale, ora il valtellinese è di nuovo al campo base, dove attende di tentare la salita insieme al suo Sherpa.

“Molti penseranno che siamo degli scellerati nel voler rimanere e tentare di raggiungere l’obiettivo per il quale siamo venuti fin qui – conclude Confortola -. Siamo tutti ben coscienti di quello che facciamo e purtroppo l’Alpinismo è anche questo, inspiegabile e non concepibile per chi non vive di montagna”.

 

 

 

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