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Torrione Cambi: un “ambiente severo”

Torrione Cambi (7)
Torrione Cambi (7)

CAMPO IMPERATORE, L’Aquila — “‘Si fusse gran vento ti getteria giù, si piovesse un puoco sdruciolaresti giù, et si fusse nebbia non vederesti dove tu andassi, et se vi fusse nieve non vi è ordine andarvi, et si fusse ghiaccio molto peggio…’. Così Francesco De Marchi nel 1573 descrisse l’ascesa al Corno Grande, la vetta più alta della catena del Gran Sasso”. E così comincia il bel racconto dell’avventura vissuta dalla lettrice Maria di Gregorio.

“Il capitano bolognese che allora aveva risalito il versante meridionale da Campo Pericoli, forse lungo la via Normale o per il Canale Bissolati, evidenzia con il suo scritto la pericolosità del luogo; ma quando si dice che un ambiente è severo si intende che è solamente pericoloso? Ce lo siamo domandati, noi del gruppo Gran Sasso, ( Alessandro,Claudio, Fabiola, Gino, Giovanni, Mimmo e Maria) quando, domenica scorsa, abbiamo raggiunto la vetta del Torrione Cambi da Campo Imperatore.

“L’avvicinamento, compreso il percorso attrezzato, è una passeggiata panoramica e solare; la comba ghiaiosa si attraversa con gli occhi puntati sotto la vetta Occidentale ammirando le strapiombanti pareti che anticipano la verticalità del percorso per raggiungere il torrione. l rosso Bivacco Bafile e le silouettes in lontananza di alcuni alpinisti sono presenze rassicuranti e la vastità di Campo Imperatore è accogliente come un grembo materno. rrivati alla base della parete sud del Torrione Cambi, dopo aver superato una crestina, si devia a sinistra risalendo un lungo canale roccioso e con alcuni salti, fino a raggiungere la Forchetta del Calderone.

“Malgrado il canale non sia difficile da risalire si avverte la diversità rispetto all’ambiente precedente: si allontanano pian piano i punti di riferimento rassicuranti della Piana e del Bivacco; la zona diventa impervia, chiusa, poco accessibile; occorre prestare costantemente attenzione a dove poggiare i piedi per non far rotolare i sassi e le mani per avere appigli solidi. A destra e a sinistra solo pareti rocciose e in alto il cielo azzurro: siamo nel cuore della montagna! D’altronde il Torrione Cambi fu ribattezzato in questo modo per ricordare l’alpinista Mario Cambi che insieme con l’amico Emilio Cichetti, nel febbraio del 1929, dopo aver percorso la cresta Sud del Corno Piccolo morì per il freddo e lo sfinimento senza mai raggiungere Pietracamela; prima di allora era denominato Torrione Centrale, torrione nel cuore del Gran Sasso.

“Superata la Forchetta del Calderone, si apre una finestra sul versante settentrionale e sul ghiacciaio del Calderone, che oggi è ridotto in superficie a qualche metro quadrato dove qualche anno fa si formava il laghetto Sofia.  A rimirarlo dalla grande  terrazza che bisogna attraversare fa quasi tenerezza. Ai tempi di Francesco De Marchi invece doveva essere stracolmo tanto che lui scriveva: “vi è un gran vallone dove sempre vi è la nieve alta quindici o venti piedi, e più in alcun luocho dove la nieve e ghiaccio sta perpetuamente, e quest’è una quantità d’un grosso miglio di lunghezza, e di larghezza più di mezo miglio, della qual sempre puoco o assai se ne disfà, e quell’acqua cala giù per diversi precepitii..”.

“Attraversata la terrazza occorre risalire l’ultimo tratto della spaccatura che divide la Vetta Centrale dal Torrione Cambi e che termina alla Forchetta Gualerzi, pochi minuti su un sentiero ripido e sdrucciolevole ma intuibile e un passaggio in arrampicata  fanno guadagnare la vetta del Torrione Cambi. Siamo a quota  2875 metri. La non larga vetta difficilmente si divide con qualcuno, questi percorsi non hanno nulla a che fare con l’affollamento dell’apparente vicina Vetta Occidentale; in effetti si è lontano dal mondo, nell’aria più fine solo il gracchiare delle cornacchie impegnate a rincorrersi nei loro voli festosi e i nostri cellulari senza campo, muti.

“La discesa è per la stessa via: Forchetta Gualerzi, terrazzo, Forchetta del Calderone, comba detritica, sentiero attrezzato, sella di monte Corno, sella di monte Aquila, sentiero estivo, Campo Imperatore; ma scendere è più complesso rispetto alla salita e richiede più attenzione. Inoltre essere attenti costantemente significa saper dosare le proprie energie lungo tutto il percorso, fino alla fine.

“In conclusione un ambiente è severo sostanzialmente perché è isolato, senza punti evidenti di riferimento, in quota, difficile e lungo da raggiungere, senza vie di fuga  e quando i repentini cambiamenti meteorologici possono creare grosse difficoltà. Un percorso in un ambiente severo è impegnativo, oggi con tutte le informazioni e le attrezzature a nostra disposizione è possibile frequentarlo con serenità anche se  vi sono circostanze in cui, come diceva Francesco De Marchi, quasi 500 anni fa,  non vi è ordine andarvi”.

Maria di Gregorio

Foto: Gino Delle Noci; Mimmo Di Bartolomeo

 

 

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