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Sci estremo, prima discesa del canalone sud delle Dames Anglaises

Il difficile traverso 55° - Prima discesa con gli sci del canalone sud dalla Brèches delle Dames Anglaises (Photo Alberto Locatelli)
Il difficile traverso 55° - Prima discesa con gli sci del canalone sud dalla Brèches delle Dames Anglaises (Photo Alberto Locatelli)

COURMAYEUR, Aosta — E’ di Edmond Joyeusaz e Francesco Civra Dano la prima discesa con gli sci del canalone sud dalla Brèche delle Dames Anglaises, nel massiccio del Monte Bianco. Le due Guide alpine di Courmayeur hanno atteso 3 mesi prima di trovare il versante in condizioni, poi finalmente negli ultimi giorni di maggio sono riusciti a centrare l’obiettivo. La discesa estrema presenta pendenze fino a 55% con un dislivello di 700 metri fino a raggiungere il ghiacciaio della Brenva. Questo il racconto di Joyeusaz, corredato di splendide immagini firmate da Alberto Locatelli.

“Fare qualcosa di ‘nuovo’ sul Monte Bianco è estremamente difficile. La storia dell’alpinismo inizia con la conquista del Monte Bianco nel lontano 1786, da allora centinai di alpinisti hanno aperto vie nuove di salita scalando, esplorando tutte le creste e le pareti dei 645 Km quadrati della catena, al punto che oggi l’avventura su una via nuova è pressoché impossibile. Gli alpinisti sciatori che hanno “aperto” itinerari di discesa sono solamente una quindicina, spesso mi sono chiesto il perché siano stati così pochi. Credo siano due i fattori: nell’immaginario collettivo scalare una montagna ed arrivare su di una cima è estremamente gratificante e in questa ottica si da molta più importanza, anche mediatica, alla salita e allo stile utilizzato.

Invece, poco importa come si scende a valle, come se ridiscendere fosse una banalità. Secondariamente, mentre nell’alpinismo, gli scalatori progrediscono in cordata, assicurati tra di loro e ancorati alla parete che garantisce una certa sicurezza, per gli sciatori del ripido non è possibile proteggersi da eventuali cadute. Lo sci estremo è un’attività riservata a pochi eletti, con capacità tecniche e di valutazione dell’ambiente sopraffine, unitamente a nervi saldi e doti non comuni nel gestire le ansie che inevitabilmente accompagnano le discese più audaci.

Diversi sport sono etichettati come attività estreme, ma, spesso a sproposito. Lo sci ripido rappresenta invece la vera essenza dell’estremo, poche altre attività possono procurare scariche di adrenalina simili e nello stesso tempo garantire incommensurabili gratificazioni. Lo sci estremo è sicuramente molto più pericoloso dell’alpinismo, solo la scalata in “Freee Solo” può essere paragonata allo sci ripido come esposizione.

canalone sud dalla Brèches delle Dames Anglaises sul Monte Bianco
Canalone sud dalla Brèches delle Dames Anglaises sul Monte Bianco

Nei primi anni settanta alcuni sciatori alpinisti di eccezionale coraggio, iniziarono ad avventurasi su pendenze superiori ai 45°. Anselme Baud, Patrick Vallancent, Silvain Saudan, Jean Marc Boivin  e l’italiano Stefano de Benedetti, scrissero pagine memorabili di sci estremo che ancora oggi rappresentano il riferimento per i pochi sciatori del ripido che ne seguono affascinati le orme.

Tre mesi di osservazioni, di valutazioni del manto nevoso per riuscire a portare a termine il nostro progetto. Qualcuno, dopo questa lunga attesa sicuramente avrà pensato che oramai non ce l’avremmo fatta, noi  invece, siamo sempre  stati fiduciosi e determinati nel raggiungere l’obbiettivo. Una discesa del genere comporta una meditata e attenta valutazione delle condizioni: non si deve tralasciare nulla. Trovarsi in quel canale con caduta sassi o valanghe e neve  inadatta vorrebbe dire mettere a repentaglio la propria vita. E’ stato un’inverno davvero particolare; a gennaio freddo intenso con poche precipitazione (il canale era completamente senza neve),  marzo con un caldo pazzesco e non un solo centimetro di neve fresca. Invece, in aprile e maggio è iniziato il vero inverno.

Il primo tentativo era fallito per il mare di nubi, l’elicottero non era riuscito a salire sopra le nubi per realizzare le immagini; spesso le esigenze mediatiche non vanno d’accordo con quelle alpinistiche…Al secondo tentativo, il caldo improvviso ci ha costretti ad abbandonare quando eravamo duecento metri sopra il crepaccio terminale. Sapevamo di avere ancora qualche possibilità prima dell’arrivo del caldo e siamo rimasti in attesa. Abbiamo colto l’opportunità di qualche giorno di sole ed è andata bene. Nel pomeriggio di lunedì siamo saliti in funivia al rifugio Torino nuovo, solita cena (chi frequenta il luogo capisce…) alle ore 20 eravamo a letto e nonostante il martello pneumatico degli operai che lavorano 24/24 per la costruzione della nuova funivia, armati di tappi, siamo riusciti a prendere sonno. Alle 20,20 una “simpatica” alpinista francese con qualche anno di troppo e altrettanti kg, sbaglia camera ed entra parlando ad alta voce svegliandoci. Per un’attimo abbiamo pensato che volesse abusare di noi, abbiamo riso per lo scampato pericolo, vi lascio immaginare le battute…. A quel punto è stato impossibile riprendere sonno, alle 23.30 eravamo a far “colazione” ed a mezzanotte pronti a partire.

Questa volta niente luna, era buio pesto ma c’era una buona traccia fino in vetta alla Tour Ronde. La discesa sul versante Brenva è stata meno impegnativa rispetto al secondo tentativo, la neve era molto dura e compatta ma non c’era ghiaccio. L’attraversamento in cordata del ghiacciaio della Brenva non ha dato problemi e dopo 3 ore dalla partenza dal rifugio Torino eravamo ai piedi del canalone. Dopo una breve pausa abbiamo iniziato la scalata, raggiunta la terminale abbiamo constatato che in soli quindici giorni il crepaccio si era allargato moltissimo; in alcuni punti raggiungeva quattro metri, un provvidenziale quanto pericoloso ponte di neve ci ha permesso di passare. Man mano che salivamo, la pendenza aumentava ed anche la neve diventava più dura. Mentre in basso si sprofondava e la progressione era parecchio faticosa, la neve compatta da un lato ci facilitava la salita, ma nello stesso tempo ci ha fatto riflettere, entrambi abbiamo pensato che per la discesa, di sicuro, avremmo dovuto aspettare che il sole ammorbidisse un po la neve.

La progressione è stata rapida, abbiamo avuto qualche problema nell’attrezzare una sosta, (tutte le fessure erano cieche) avevamo con noi chiodi e spezzoni di corda per i tre punti che sapevano di non poter sciare; c’erano infatti due risalti rocciosi e un canale di neve con ghiaccio di un metro e trenta di larghezza, troppo stretto per i nostri. Alle prime luci dell’alba (ore 6) eravamo sotto la Brèche, constatato che gli ultimi metri poco sotto il colle non erano sciabili per il ghiaccio e le rocce affioranti, calzati gli sci eravamo pronti per affrontare i settecento metri di dislivello del canalone.

Per un normale sciatore calzare gli sci solitamente non è un problema, per noi, su quelle pendenze è uno dei momenti più pericolosi; occorre scavare con la piccozza uno spiazzo in modo da facilitare l’operazione che richiede sempre una grande attenzione. Le prime curve sono sempre le più difficile, la concentrazione è massima, rotto l’indugio, scaricata la tensione, quelle successive risultano più facili ma comunque la concentrazione deve essere assoluta. Devo dire che entrambi pensavamo che il pendio fosse meno impegnativo, invece, la pendenza era notevole, costante sui 50° con alcuni punti a 55°.

Salto della terminale (Photo Alberto Locatelli)
Salto della terminale (Photo Alberto Locatelli)

Il punto più difficile è stato un “traverso” verso destra obbligatorio, dove entrambi abbiamo utilizzato la piccozza per una maggiore sicurezza. Siamo scesi con la solita tecnica alternata, ovvero: ci si muove uno alla volta e possibilmente non sulla stessa traiettoria. Mentre uno scia l’altro sta fermo di lato, magari al riparo dietro alle rocce se è possibile. Se per caso uno sciatore cade è impossibile che si fermi, se lo sciatore che è più in basso è sulla stessa traiettoria verrebbe inevitabilmente travolto ed entrambi morirebbero. Per cui, quando si affronta una discesa di questo tipo si è consapevoli che se si sbaglia, il compagno non potrà aiutarti e che dovrà forzatamente scansarsi per non essere travolto a sua volta.

Reinhold Messner afferma che “l’esposizione” è la caratteristica indispensabile per un’avventura estrema, credo che la nostra discesa dalle Dames Anglaise indubbiamente faccia parte di questa categoria. In basso dove il canale si allarga e la pendenza diminuisce (45°) la tensione si è allentata, abbiamo sciato con più scioltezza e piacere, superata la crepaccia terminale con un salto, la gioia è stata grande insieme alla consapevolezza di avere portato a termine un gran bella impresa”.

Edmond Joyeusaz
http://lesdamesanglaises.blogspot.it/

 

Foto Alberto Locatelli

 

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