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Un mese in grotta sotto il Monte Pellegrino, è fuori lo speleonauta

Igor D'India esce dalla Grotta del Pidocchio
Igor D'India esce dalla Grotta del Pidocchio

PALERMO — E’ riemerso dal sottosuolo dopo quattro settimane di isolamento nella “Grotta del pidocchio”, una cavità carsica del Monte Pellegrino, tra i Monti di Palermo. Igor D’Idia, filmaker, documentarista e speleonauta per  30 giorni, è tornato alla luce martedì scorso. Per aiutare gli occhi ad abituarsi ha indossato occhiali schermati. Poi, una volta all’aria aperta, ha espresso due desideri: “una doccia e un piatto di spaghetti”.

“La conquista dell’inutile”. Così ha definito la sua avventura Igor D’India in un post pubblicato all’indomani della fuoriuscita dalla grotta entro cui è rimasto per un mese esatto, dal 25 marzo al 24 aprile. Lo “speleonauta per caso” è uscito dalla cavità sotto il Monte Pellegrino in buone condizioni fisiche: durante tutto il periodo è stato controllato a distanza 24 ore su 24 da uno staff del Soccorso alpino e speleologico con tre operatori radio che si alternavano nei turni di guardia per i contatti, un medico e tre tecnici pronti a raggiungerlo in pochi minuti. I volontari del Cnsas Sicilia hanno garantito, oltre ai contatti radio, anche il trasferimento di materiale da e per la grotta con un sistema di corde e carrucole.

“E’ ormai rarissimo vedere un’ impresa più o meno estrema che risulti ‘utile’ per la collettività – ha scritto D’India -. Forse lo può fare la scienza in laboratorio e la tecnologia nelle fabbriche o nello spazio, ma non certo l’alpinista, il sub, lo speleologo, il basejumper. Quello che fa chi vive di queste esperienze (e non intendo dal mero punto di vista economico, poichè spesso sono investimenti a perdere), è “conquistare l’inutile”, come lo stesso Messner ha scritto nei suoi libri. Ciò non esclude però che a queste esperienze si possa dare un senso”.

In grotta per il monitoraggio ambientale erano stati installati un sensore di temperatura e una sofisticata strumentazione (fornite dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) che registrava la quantità di anidride carbonica presente nell’aria. Questo non solo per garantire la sicurezza dello “speleonauta” ma anche per monitorare i cambiamenti ambientali indotti dalla sua presenza.

“E’ di fatto un gioco di chi vuole inventare le proprie regole – continua D’India -. Fare lo speleonauta per ‘soli’ 30 giorni in una grotta, escludendo orologi, telefoni, internet, lettori mp3 e materiale da campo costosissimo, mi sembrava una prova molto importante. Negli anni 60 gli speleonauti erano pionieri seguiti da enti come la NASA, con milioni di dollari alle spalle, grande interesse dell’opinione pubblica e di scienziati di ogni sorta. Tutto quello che c’era da scoprire è stato scoperto, ma non significa che non si possa vivere oggi un’esperienza su misura ispirandosi a quei momenti storici”.

 

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